11/15/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/15/2024 09:24
Seimila miliardi di dollari, pari a più di mezzo miliardo all'anno fino al 2030. È questa una delle cifre simboliche più importanti della COP29, la Conferenza delle parti della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in corso a Baku, capitale dell'Azerbaijan, dall'11 al 22 novembre. Il principale obiettivo di quest'anno, infatti, è proprio quello di indicare una cifra: il cosiddetto Nuovo Obiettivo Collettivo Quantificato (NCQG), cioè l'obiettivo di finanziamento per il clima. Lo scopo della COP29 è dunque quello di fornire denaro sufficiente ai paesi poveri per aiutarli a ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi agli effetti degli eventi meteorologici estremi causati dal clima. Le cifre, ancora non ufficiali e desunte dalle bozze di documento pubblicate nella giornata di giovedì, sono inferiori a quelle del rapporto pubblicato dall'Independent High-Level Expert Group on Climate Finance (IHLEG), secondo cui entro il 2030 i paesi dovranno investire anche mille miliardi di dollari ogni anno per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. A Baku, tuttavia, vanno in scena anche tensioni e proteste, soprattutto da parte di attivisti contrari - tra le altre cose - al fatto che la conferenza si tenga in un paese, l'Azerbaigian, che basa gran parte della sua economia sull'esportazione degli idrocarburi.
Quella di Baku è stata già indicata da molti come "la Conferenza dei numeri". Gli sherpa stanno lavorando duramente per limare asperità e punti critici, in modo da arrivare a un testo finale il più possibile condiviso. Ma la strada è impervia, dato che in questo caso si tratta di stanziare fondi molto concretamente. "Gli investimenti in tutti i settori dell'azione per il clima devono aumentare in tutte le economie", afferma il rapporto pubblicato dall'IHLEG. Gli esperti stimano a 6,5 mila miliardi di dollari, tra i 455 e i 584 miliardi l'anno, la cifra necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici nelle economie avanzate, così come in Cina e nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Qualsiasi deficit in questa direzione "metterà ulteriore pressione sugli anni successivi, creando un percorso più ripido e potenzialmente più costoso verso la stabilità climatica". Il successo del summit di Baku sarà probabilmente valutato in base alla capacità delle nazioni coinvolte di concordare un nuovo obiettivo per quanto riguarda la somma che le nazioni più ricche, i finanziatori dello sviluppo e il settore privato dovranno versare ogni anno ai paesi in via di sviluppo per finanziare l'azione per il clima.
Se da un lato il lavoro di cesello sui testi tocca ai tecnici, la COP29 è anche spazio per interventi istituzionali. Sebbene diversi leader politici - tra cui Joe Biden, Inacio Lula e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen - abbiano dato forfait, numerosi capi di stato e di governo sono intervenuti nei primi giorni della Conferenza. Tra essi, la premier italiana Giorgia Meloni. "L'Italia vuole continuare a fare la sua parte: abbiamo già stanziato quattro miliardi nella lotta al cambiamento climatico in Africa e continuiamo a sostenere il fondo 'Loss and damage'", ha dichiarato la leader dell'esecutivo italiano nella giornata di mercoledì. "Sappiamo che non potremmo beneficiare personalmente dei risultati degli sforzi che stiamo compiendo. Ma non è questa la cosa importante, lavoriamo per le future generazioni", ha aggiunto la presidente del Consiglio. A far discutere più di tutti, però, è stato il padrone di casa. Il presidente dell'Azerbaijan, Ilham Aliyev, ha dichiarato nel suo discorso alla conferenza che petrolio e gas sono un "dono di Dio", criticando le "fake news occidentali" sulle emissioni del suo Paese. Poco dopo, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha dichiarato che raddoppiare l'uso dei combustibili fossili è "assurdo", con un riferimento non troppo velato al paese ospitante, che prevede di aumentare la produzione di gas fino a un terzo nel prossimo decennio. Anche gli Stati Uniti sono sotto i riflettori della conferenza dopo la vittoria elettorale di Donald Trump, notoriamente scettico su quello che riguarda il cambiamento climatico.
Come accaduto per la COP27 di Dubai - dove per la prima volta è stata messa nero su bianco la necessità di abbandonare gradualmente le fonti fossili - la conferenza di quest'anno è stata segnata anche dalle proteste degli attivisti per il clima. Radunati fuori dalla sede dell'evento a Baku, continuano a manifestare senza sosta, dipingendo, sventolano striscioni e scandendo slogan. Dopo aver portato un costume da orso polare, i manifestanti hanno introdotto venerdì una nuova figura simbolica: un grande serpente, accompagnato dal messaggio "Estirpiamo i serpenti". Una chiara metafora dei paesi responsabili dell'inquinamento, che continuano a utilizzare combustibili fossili e sono tra i maggiori emettitori di CO2. Secondo i dati analizzati dalla coalizione di attivisti Kick Big Polluters Out, almeno 1.773 lobbisti del carbone, del petrolio e del gas hanno ottenuto l'accesso alla conferenza. Un numero decisamente superiore alle 10 nazioni più vulnerabili alla crisi climatica, che a Baku hanno portato un totale di 1.033 delegati. Anche Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti, ha criticato durante la conferenza le pressioni delle lobby del fossile. "C'è una vecchia canzone intitolata 'Looking for Love in All the Wrong Places'. Per molto tempo, abbiamo creduto che, siccome l'industria dei combustibili fossili ha causato la crisi climatica, l'avrebbe anche risolta per noi. Ma no, non lo faranno", ha affermato.
Il commento
di Alberto Prina Cerai, Osservatorio Geoeconomia ISPI
"I fondi per il clima sono storicamente un campo di difficile negoziazione tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, perché i secondi naturalmente chiedono ai primi - per responsabilità storiche sulle emissioni - un contributo maggiore. Nel 2009, alla COP15 di Copenaghen, i paesi industrializzati si erano impegnati a raggiungere l'obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020 per l'azione climatica verso questi paesi. Nel 2022 la cifra è stata finalmente superata, ma non basta. Secondo IHLEG, per i paesi in via di sviluppo servirebbero mille miliardi di dollari all'anno entro il 2030 e 1.300 miliardi entro il 2035 per sostenere azioni di mitigazione e adattamento. A Baku un accordo sui fondi probabilmente ci sarà, ma verosimilmente rimarrà il tema del gap tra necessità reali e scala dei finanziamenti".