ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

05/14/2025 | Press release | Distributed by Public on 05/15/2025 01:44

Trump nel Golfo, non solo business

Gli Stati Uniti toglieranno le sanzioni alla Siria e valutano "una normalizzazione nei rapporti con Damasco": supera ogni più rosea previsione l'annuncio formulato da Donald Trump poco dopo l'incontro a Riad con il presidente siriano ad interim, Ahmed Al-Sharaa. Durante il faccia a faccia - organizzato nel corso del tour del presidente Usa in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti - Trump avrebbe presentato ad Al-Sharaa una serie di richieste, tra cui la firma degli Accordi di Abramo per normalizzare le relazioni con Israele, la deportazione dei "terroristi palestinesi", l'impegno a prevenire la rinascita dello Stato Islamico nel paese e l'assunzione da parte di Damasco della responsabilità dei centri di detenzione dei combattenti di Isis nel nord-est della Siria. La revoca delle sanzioni al paese mediorientale - caldeggiata dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Mbs) e dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan "offre ai siriani un'opportunità " ha detto Trump, che ha aggiunto: "Non sarà facile comunque. Ma questo dà loro una buona, forte possibilità, ed è stato un onore per me". La notizia costituisce una svolta importante per il futuro economico e finanziario del paese, alle prese con una difficile ricostruzione dopo quasi quattordici anni di guerra civile. Da non sottovalutare, inoltre, il fatto che il breve incontro tra Trump e Al-Sharaa si sia tenuto nonostante l'opposizione di Israele, che dopo il rovesciamento di Bashar Al-Assad nel dicembre scorso ha condotto una serie di raid e occupato alcuni territori nel sud-ovest della Siria. Lo stesso primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ripetutamente definito il governo di Sharaa un "regime jihadista".

Un'opportunità per la Siria?

Dopo l'annuncio di Trump, molti siriani sono scesi per le strade di Damasco, suonando il clacson per festeggiare. Da mesi, le monarchie del Golfo, Arabia Saudita in testa, avevano esortato le potenze occidentali a revocare le sanzioni imposte al paese nell'era Assad, ravvisando nel rilancio dell'economia in bancarotta la sfida più urgente che il governo di transizione siriano si trova ad affrontare. Ma pur considerando la capacità di lobbying delle diplomazie arabe, quella annunciata ieri è una novità sorprendente: appena sei mesi fa, Ahmad Al-Sharaa era un jihadista con una taglia di 10 milioni di dollari sulla testa. Ieri ha incontrato il presidente degli Stati Uniti che, in qualità di presidente della Siria, gli ha firmato un assegno in bianco. La mossa di Washington darà forza a Sharaa per consolidare il controllo del suo esecutivo su una nazione frammentata. Il leader siriano e il suo movimento Hayat Tahrir al Sham, che avevano già rinnegato ogni legame con la galassia qaedista nel 2016, hanno promesso dal canto loro che il nuovo governo sarà inclusivo e che rispetterà tutte le sette e le minoranze della Siria. Finora il Regno Unito e l'Unione Europea avevano revocato alcune sanzioni, mentre gli Stati Uniti avevano concesso deroghe per il commercio di beni umanitari e per consentire al Qatar di pagare gli stipendi della pubblica amministrazione. È una scommessa su cui tutti puntano, Arabia Saudita in testa, per stabilizzare il paese e scongiurare un vuoto di potere nel cuore del Medio Oriente.

Business First?

Nel corso della permanenza a Riad, Trump ha firmato diversi accordi di difesa ed economici con il principe ereditario Mohammed bin Salman confermando il legame sempre più forte tra i due Paesi. Gli accordi, ha detto il presidente Usa, prevedono investimenti di 600 miliardi di dollari da parte dell'Arabia Saudita negli Stati Uniti, incluso un partenariato di difesa record da 142 miliardi di dollari che il tycoon ha definito "il più grande accordo di vendita di prodotti per la difesa della storia". Ma i dettagli degli impegni sottoscritti da Riad, fa notare oggi il New York Times "sono rimasti vaghi", mentre le cifre pubblicate dalla Casa Bianca "non ammontavano a 600 miliardi di dollari" e alcuni programmi in realtà sarebbero stati avviati sotto l'amministrazione di Joe Biden. "Abbiamo qui i più grandi leader aziendali del mondo. Se ne andranno con un sacco di assegni", ha detto Trump parlando allo US-Saudi Investment Forum, presentandosi al fianco di una nutrita delegazione di imprenditori e amministratori delegati di alcune delle principali aziende americane, dai giganti della difesa Lockheed Martin, Northrop Grumman e Halliburton a Nvidia, la più grande azienda di semiconduttori al mondo e il colosso di investimenti BlackRock. Anche il presidente della FIFA, Gianni Infantino, era presente all'evento: l'Arabia Saudita prevede di ospitare la Coppa del Mondo di calcio nel 2034.

La stabilità passa dal Golfo?

Sebbene il focus del tour sia indubbiamente economico, Trump si aspetta dai Paesi del Golfo più che semplici assegni. Dall'inizio del suo secondo mandato, ha elevato l'Arabia Saudita a mediatore di primo piano, affidandosi al regno per i colloqui tra Stati Uniti e Russia e poi tra Russia e Ucraina. Una novità per un paese che è da sempre una potenza nella regione, ma non al di fuori di essa, e che è tanto più benvenuta in quanto riflette le aspirazioni degli stati arabi del Golfo: governare la propria regione e contare a livello globale. Trump ha esaltato la nuova generazione di leader che - a suo dire - "stanno superando i vecchi conflitti" e costruendo un Medio Oriente "di commercio e tecnologia, non di caos e terrorismo". Anche le amministrazioni Biden e Obama si erano affidate a Qatar ed Emirati per alcune mediazioni, ma la discontinuità non sta solo nel fatto che i suoi predecessori non avrebbero accettato in "dono" da parte del Qatar un Boeing 747-8 come nuovo Air Force One, che oggi fa gridare allo scandalo i democratici Usa. Ai governanti del Golfo, Trump offre meno moralismi, più armi e un canale diretto con lo Studio Ovale in cambio di un ruolo attivo nella stabilizzazione regionale. Tutte cose che non possono che preoccupare un altro partner chiave degli Stati Uniti nella regione: Israele. Tanto che, con crescente irritazione, qualcuno vicino a Netanyahu si chiede se, in caso di nuove crisi o interessi in gioco, Trump non guarderebbe prima a Riad che a Gerusalemme.

Il commento

Di Eleonora Ardemagni, ISPI Senior Associate Research Fellow

"Dal viaggio di Trump nel Golfo, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati si aspettavano affari da copertina, contratti importanti per la fornitura di armi e ribalta internazionale: le aspettative dei sovrani non sono state disattese. Il presidente americano - che ci ha abituati però a repentini cambi di posizione - è stato fin qui attento a evitare i temi divisivi: niente fughe in avanti sulla normalizzazione tra Arabia e Israele, nessuna menzione al suo "Piano Riviera" per Gaza, parole nette sull'Iran che "non avrà mai la bomba nucleare" ma senza evocare l'intervento militare, inviso a Riyadh. La fine delle sanzioni alla Siria di Al-Sharaa è poi un assist a MbS e al ritorno dell'influenza araba nel paese. Un idillio perfetto, allora? Trump "porta" armi, ma non ha fin qui portato più sicurezza nella regione. In più, fallimentari bombardamenti americani in Yemen contro gli Houthi sollevano molti interrogativi, anche nel Golfo: che succederebbe un domani con l'Iran?"

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