01/20/2025 | Press release | Distributed by Public on 01/20/2025 08:43
Il caso del tiktoker algerino di Montpellier - espulso dalla Francia perché accusato di gravi minacce contro oppositori del regime algerino, ma subito rispedito indietro verso Parigi dalle stesse autorità di Algeri - è l'ultimo sgarbo all'interno di un quadro di tensioni crescenti tra Parigi e Algeri. Sullo sfondo, una riconciliazione post-coloniale mai conclusa e la definitiva scelta di campo di Emmanuel Macron verso il Marocco nella contesa sul Sahara occidentale.
L'attuale crisi politico-diplomatica tra Francia e Algeria, iniziata quest'estate, non è la prima e non sarà l'ultima. Negli ultimi vent'anni sono almeno due i momenti in cui si è andati molto vicini alla rottura delle relazioni e ogni volta l'argomento del contendere è stato sempre il comune passato coloniale. Volenti o nolenti, le popolazioni dei due paesi condividono ancora, a decenni di distanza, i postumi di quel lungo periodo - più di un secolo - in cui l'Algeria è stata parte integrante del territorio metropolitano. Nell'Algérie française i 9 milioni di algerini (tanti erano nel 1962, pochissimi rispetto ai 46 milioni di oggi) erano completamente esclusi dalla gestione e dalle ricchezze del paese che restavano nelle mani di una minoranza di pieds-noirs, ovvero quel milione di francesi che si erano via via trasferiti in quella terra, dal clima mite e dalle fertili coste, dall'altra parte del Mediterraneo.
Dopo l'indipendenza dell'Algeria, i governi francesi tentarono per ben tre decenni la strada dell'oblio per quel trauma che era stato, da un lato, subito dai tanti pieds-noirs rientrati in fretta e furia nel 1962 (i quali, quando andava bene, coltivavano solo una certa nostalgérie), ma dall'altro lato, provocato a tutto un popolo uscito a pezzi dal dominio coloniale e decimato dalla violenza della lotta di liberazione. Nonostante dagli anni Novanta la questione della memoria si sia posta prepotentemente nelle relazioni tra i due paesi, fu solo nel 1999 che Parigi riconobbe l'esistenza di una "guerra d'Algeria", avendo prediletto sino a quel momento espressioni - "operazioni effettuate in Africa del Nord", "avvenimenti d'Algeria" - che non contemplassero l'idea di una statualità propria agli algerini. Nel 2005, il primo gelo tra le due sponde piombò in occasione dell'approvazione di una legge del ministero dell'Educazione che parlava esplicitamente di un "ruolo positivo della colonizzazione francese" proprio "in Africa del Nord". Seguì allora un lungo raffreddamento diplomatico cui si affiancò un profondo dibattito tra gli intellettuali d'oltralpe, con il risultato che, dopo un anno, l'articolo in questione fu abrogato.
Sul dossier memoriale, il presidente Macron è quello che ha tentato più passi in avanti, finendo però per inciampare varie volte e per dover tornare al punto di partenza. Le buone premesse c'erano tutte: nella sua prima campagna elettorale dichiarò alla televisione algerina Echorouk News che la colonizzazione francese era stata un crimine contro l'umanità : una presa di coscienza molto apprezzata dagli algerini, che era stata poi però ridimensionata da un più generico "crimini contro l'umano" del trentanovenne divenuto presidente. Il fiore all'occhiello della sua politica di riconciliazione fu lo studio conosciuto come Rapporto (Benjamin) Stora, dal nome dello storico cui fu commissionato. Pubblicato nel gennaio 2021 era sostanzialmente un elenco di 27 raccomandazioni per imbastire ponti di collaborazione tra le due sponde su quelle questioni ancora spinose riguardanti i 132 anni di colonizzazione e i 7 anni di guerra, tra cui le migliaia di scomparsi, la condivisione degli archivi, l'utilizzo di armi chimiche tossiche (come il napalm) o i test nucleari nel Sahara. Alcuni dossier sono stati portati avanti, riconoscimenti ne sono stati fatti, ma da parte di Algeri sono rimasti freddezza e criticismo per ciò che mancava, uniti a poca o nessuna partecipazione per l'apertura degli archivi.
Tutto veniva nuovamente rimesso in discussione dopo pochi mesi, quando Macron, parlando a un gruppo di giovani francesi che per storia famigliare erano legati all'Algeria (nipoti di veterani, di pieds-noirs, di harki, ovvero quegli algerini che nella guerra di indipendenza lottarono a fianco dei francesi contro i loro stessi "fratelli"), arrivò ad accusare il regime di Algeri di avere un "sistema politico-militare" costruito sulla "rendita memoriale" e sull'"odio della Francia", pungolandolo sul vivo con una domanda tendenziosa che rimetteva in discussione l'orgoglio algerino: "C'era forse una nazione algerina prima della colonizzazione francese?". Una nuova alzata di scudi era stata allora provocata: richiamo dell'ambasciatore a Parigi e chiusura dello spazio aereo necessario ai francesi per rifornire i soldati impegnati, nel Sahel, nell'operazione Barkhane (che fallirà dopo poco, peraltro). La relazione doveva ricomporsi nella visita "ufficiale e di cortesia" (non "di stato") di Macron in Algeria dal 25 al 27 agosto 2022. In quella occasione, in cui la numerosa delegazione fu comunque ricevuta con tutti gli onori e tante furono le strette di mano e gli abbracci, il presidente Abdelmadjid Tebboune volle rilanciare lui, questa volta, la palla sul dossier della memoria indicendo la costituzione di una ennesima commissione mista di storici, come se le decine e decine di studi indipendenti e condivisi scritti in questi anni non valessero nulla.
Oggi le due parti sono di nuovo ai ferri corti. Seppur questa volta la scintilla riguarda un'altra questione, quella sulla memoria coloniale ritorna ancora prepotentemente a galla. La definitiva presa di posizione della Francia a favore del Marocco sull'affaire del Sahara occidentale annunciata da Macron quest'estate è certo in linea con la simpatia che Parigi ha sempre avuto per il coté marocchino del conflitto; tuttavia, mai ci si era spinti tanto oltre. È stato Donald Trump alla fine del suo primo mandato ad aprire la via, riconoscendo la "marocchinità" del territorio conteso. Gli Stati Uniti, alleati storici di Rabat e da sempre sostenitori della monarchia sceriffiana nella difesa dei suoi "diritti imperiali" verso il Sahara, avevano deciso per primi di abbandonare il filo dell'equilibrismo - basato sul rispetto delle risoluzioni e della missione ONU rinnovata ogni anno per studiare come uscire dall'impasse - sul quale si erano mantenuti sino ad allora. Li hanno seguiti a ruota la Spagna, i Paesi Bassi e la Germania, sino alla Francia a luglio 2024 che si è dichiarata a favore della sovranità marocchina sul territorio e quindi del piano di Rabat per l'autonomia. Per Algeri, la difesa del diritto all'autodeterminazione del popolo sahrawi è una questione identitaria, tanto quanto lo è per Rabat il carattere marocchino di questa striscia di terra desertica ricca di fosfati e acque pescose.
L'inimicizia tra i due regimi maghrebini si attesta su queste linee rosse che nessuno dei due intende cancellare: una mancanza di relazioni che ha conseguenze enormi per le popolazioni dato che rende impossibile l'unione regionale. La tanto attesa visita di stato di Macron in Marocco dal 28 al 30 ottobre 2024 che ha portato alla firma di accordi miliardari ha sugellato il nuovo corso.
Dal nuovo ritiro dell'ambasciatore algerino dalla capitale francese le reazioni e controreazioni tra le due sponde per quello che per l'Algeria è considerato un radicale voltafaccia della Francia a favore del Marocco non si contano più: il caso degli scrittori Kamel Daoud premio Goncourt 2024 e Boualem Sansal, le accuse a Parigi di operare in segreto per destabilizzare l'Algeria, gli arresti di influencer algerini in Francia, le proposte di rivedere l'accordo del 1968 sui visti per gli algerini, sino all'"umiliazione" subita da Parigi per il rinvio del tiktoker "Doualemn" che dal suo account di Montpellier lanciava minacce a quanti criticano l'Algeria di Tebboune.
Il presidente algerino, nel suo discorso alla Nazione di fine anno[1], è tornato a tuonare contro l'ex-potenza coloniale affermando di non volere più le scuse ma "almeno un riconoscimento" dei massacri perpetrati durante la colonizzazione che hanno portato alla morte in totale di "5 milioni e 630 mila martiri", una cifra enorme, ben al di là di quella di 1 milione di morti durante la guerra, che già gli storici avevano ridotto a circa 300-500 mila. Rivolgendosi direttamente alla Francia, ha chiesto che si occupino della bonifica delle zone sahariane contaminate dagli esperimenti nucleari degli anni Sessanta e della restituzione di tutti e 500 crani degli algerini durante la guerra: "Avete mai visto un paese sviluppato permettere ai suoi ufficiali di decapitare un martire e di trasportare il suo cranio nel suo paese?", ha domandato facendo riferimento a quella civilizzazione che teoricamente i francesi erano venuti a portare nel paese. Anche sul Sahara occidentale Tebboune non si è scostato di una virgola, affermando anzi che il principio dell'autonomia è un'idea francese e che il suo senso è "di dare al popolo sahrawi la scelta tra il male e il peggio senza lasciargli altra alternativa".
La crisi tra Algeria e Francia sta divenendo sempre più acuta, i toni sono sempre più accesi, anche se è da notare come i due presidenti, aizzando questo scontro, tengono a bada i rispettivi fronti caldi interni (l'estrema destra in Francia e un certo sommovimento contro l'autoritarismo in Algeria). Tebboune dal 2022 continua a rimandare la sua visita a Parigi, ma di questo passo si dovrà sicuramente aspettare ancora un po', attendendosi nel frattempo altri sgarbi, prese di posizione, richieste di risarcimenti o più semplicemente una sincera comprensione reciproca.
[1] "L'Algérie d'aujourd'hui n'est pas celle d'hier", El Djeich. Revue de l'Armée nationale populaire, n° 738, Gennaio 2025, pp. 4-9.