ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

10/10/2025 | Press release | Distributed by Public on 10/11/2025 10:10

Gaza e il piano Trump, in controluce

  • Daily Focus Medio Oriente e Nord Africa
    di Alessia De Luca
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Da ore migliaia di palestinesi percorrono a ritroso la strada costiera lungo la Striscia di Gaza per tornare verso le proprie case, o quel che ne resta. Dopo il 'si' del governo israeliano al piano di pace di Donald Trump, infatti, le forze armate dello Stato ebraico hanno annunciato di aver terminato il ridispiegamento lungo la linea gialla stabilita dai mediatori e che il cessate il fuoco è in vigore. L'esercito manterrà il controllo del 58% del territorio della Striscia, la maggior parte del quale si trova al di fuori delle aree urbane. Ciò include una zona cuscinetto lungo l'intero confine di Gaza, compreso il corridoio di Philadelphia (al confine tra Egitto e Gaza), insieme a Beit Hanoun e Beit Lahiya nell'estremo nord della Striscia, un piccolo promontorio nella periferia orientale di Gaza City e ampie porzioni di Rafah e Khan Younis nella parte meridionale. Il ridispiegamento coincide anche con l'avvio del conto alla rovescia per le 72 ore entro le quali gli ostaggi israeliani ancora in vita (dovrebbero essere una ventina) saranno rilasciati e restituiti ai famigliari dopo due anni di agonia. In seguito saranno consegnate anche le salme degli ostaggi già morti. In base agli accordi, Hamas ha tempo fino alle 12 di lunedì per il rilascio, mentre Israele libererà circa 2mila detenuti palestinesi. Intanto, gli Stati Uniti hanno confermato l'invio di 200 marines nell'area per "supervisionare" la tenuta della tregua, mentre lo stesso Donald Trump arriverà in Israele lunedì mattina dove terrà un discorso alla Knesset, il parlamento israeliano, su quella che ha definito, "una nuova pagina per l'intero medio Oriente". L'approccio non ortodosso del presidente americano al conflitto - pur tra mille incognite che ancora gravano sull'intesa - ha portato a un risultato finora irraggiungibile. Dopo mesi di stallo, Trump ha ottenuto un accordo che intende in ogni modo trasformare in un successo diplomatico duraturo e in un momento decisivo della sua presidenza.

9 settembre, una data cruciale?

La sterzata nelle relazioni tra Trump e il governo di Benjamin Netanyahu, che ha determinato il raggiungimento dell'accordo siglato a Sharm El Sheikh, ha una data precisa: il 9 settembre. E coincide con la decisione unilaterale del premier israeliano di bombardare Doha nella speranza di annientare i negoziatori di Hamas. L'attacco, di cui Trump non era stato informato preventivamente, aveva ucciso cinque membri dell'organizzazione e un funzionario delle forze di sicurezza del Qatar, allarmando gli alleati degli Stati Uniti in tutta la regione, compresi Turchia ed Egitto che hanno ospitato a più riprese i leader politici di Hamas. Per ricucire i rapporti con il Qatar, che ospita la principale base aerea statunitense in Medio Oriente, Trump ha emesso un ordine esecutivo senza precedenti che afferma che qualsiasi futuro attacco all'emirato sarà trattato come un attacco agli Stati Uniti. "Tutto ciò - osserva Patrik Wintour, corrispondente diplomatico del Guardian - significava che il leader statunitense era più che disposto a condividere la visione degli Stati del Golfo di un nuovo Medio Oriente". E con un gesto che dimostrava di essere pronto a fare pressioni sul governo israeliano, più di quanto Joe Biden avesse mai fatto, Trump ha detto a Israele che "non ci sarebbero state ulteriori annessioni in Cisgiordania". Infine a Netanyahu, leader poco incline al rammarico, è stato ordinato di scusarsi al telefono con l'emiro del Qatar, lo sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, promettendo che in futuro avrebbe rispettato la sovranità del paese.

Israele è già in campagna elettorale?

Se la cautela per gli esiti dell'intesa è d'obbligo, una prima lezione che se ne può trarre è che negli accordi in Medio Oriente "il diavolo si nasconde nei dettagli, ma la cosa più importante è la forza di volontà politica", osserva Anshel Pfeffer, corrispondente dell'Economist e biografo di Netanyahu, secondo cui il leader israeliano sta già modificando la narrazione del cessate il fuoco "per servire i suoi obiettivi politici in vista delle elezioni generali del prossimo anno". Netanyahu, afferma Pfeffer "ha sempre a cuore la sua immagine e la sua eredità, e come negli ultimi due anni ha lavorato per plasmare a suo favore la narrazione della guerra di Gaza, ora farà del suo meglio per trasformare questo momento nel suo successo". Anche se diverse cronache locali e internazionali hanno raccontato quanto Trump abbia dovuto insistere affinché accettasse questo piano, Netanyahu lo ha salutato come un trionfo per la sua strategia diplomatica e militare dopo due anni di guerra. In realtà, il premier sa benissimo che l'intesa - approvata nonostante l'opposizione del partito Sionismo Religioso di Bezalel Smotrich e di Potere Ebraico del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir - può segnare la fine del suo esecutivo. L'unico motivo per cui, sebbene entrambi abbiano votato contro, nessuno dei due si è ancora dimesso dipende infatti dalla deliberata ambiguità di Netanyahu su ciò che l'intesa comporta. Mentre il piano in 20 punti di Donald Trump prevede un accordo per la cessazione totale del conflitto e una più ampia "pace in Medio Oriente", il premier insiste sul fatto di aver concordato solo la prima fase ovvero il rilascio degli ostaggi in cambio dei prigionieri e un parziale ridispiegamento militare israeliano.

Netanyahu resta sempre a galla?

Da un altro punto di vista, l'accordo potrebbe costituire una svolta anche per Netanyahu. "Manca meno di un anno alle elezioni, probabilmente molto meno, e lui si stava avviando verso una campagna che lo avrebbe fatto a pezzi da ogni possibile angolazione", scrive Reuven Hazan, professore di scienze politiche all'Università Ebraica. Al contrario, Netanyahu potrà dire di aver decimato Hamas, dopo aver ottenuto vittorie su Iran e Hezbollah, e rivendicare un altro mandato per realizzare la normalizzazione dei rapporti con gli stati del Golfo e ridisegnare della mappa della regione. Inoltre, la fine della guerra placherebbe la pressione pubblica sulla contestatissima legge per la coscrizione obbligatoria degli ebrei ultraortodossi. E soprattutto lo metterà nella posizione di accogliere la liberazione degli ostaggi, privando l'opposizione di un argomento letale, perché anche loro sostengono un accordo. Ancora una volta, quindi, il più longevo premier della storia di Israele giocherebbe la carta del "divide et impera" tenendosi stretto a sé un alleato chiave per la sua sopravvivenza politica. Mentre gli israeliani di gran parte dello spettro politico celebrano l'accordo, infatti, una cosa appare chiara: ora come ora non c'è politico più popolare in Israele di Donald Trump, a cui i parenti degli ostaggi hanno espresso la "più profonda gratitudine" per averci "restituito ciò che pensavamo di aver perso per sempre". Il fatto stesso che Netanyahu sia ancora al potere, mantenga il sostegno del presidente Usa e abbia presieduto due anni di guerra in cui i nemici regionali sono stati decimati potrebbe giocare tutto a suo favore. "Non c'è miglior sostenitore di Netanyahu di Donald Trump - osserva Nadav Shtrauchler, stratega politico vicino al Likud - Il suo discorso al parlamento di domenica segnerà l'inizio della campagna elettorale".

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