11/13/2025 | Press release | Distributed by Public on 11/13/2025 03:13
Il 13 novembre 2015 rappresentò un momento cruciale nella storia recente della minaccia jihadista: a Parigi e nel vicino sobborgo di Saint-Denis, un commando del cosiddetto Stato Islamico (IS) colpì in modo coordinato sei obiettivi, tra cui il teatro Bataclan, provocando in totale 130 morti (tra cui l'italiana Valeria Solesin) e oltre 400 feriti. Fu la più grave strage jihadista in Europa dopo gli attacchi di Madrid dell'11 marzo 2004 (192 morti e più di 2.000 feriti).
Una tragedia che incise profondamente sulla memoria collettiva europea e che ritrovò ampia visibilità con il processo a carico di venti persone sospettate di essere implicate a vario titolo negli attacchi. Tale processo, noto in Francia come "V13" (riferimento al giorno dell'attacco, venerdì 13), protrattosi da settembre 2021 a giugno 2022, si concluse con la condanna di tutti gli imputati; Salah Abdeslam, l'unico superstite tra i componenti del commando jihadista, fu condannato all'ergastolo.
Oggi, a dieci anni di distanza dal massacro del Bataclan (e di Charlie Hebdo, avvenuto appena dieci mesi prima) si può sostenere che Parigi e la Francia abbiano dimostrato un notevole livello di resilienza, fedeli al motto latino della capitale transalpina: fluctuat nec mergitur (è battuta dalle onde, ma non affonda).
Il 13 novembre 2015, all'apice della parabola dell'auto-proclamato "Califfato" in Siria e Iraq, a colpire fu una cellula di dieci membri dello Stato Islamico, addestrati ed equipaggiati con ordigni esplosivi e armi da fuoco. Gli attentatori, perlopiù di origine francese o belga, agirono su ordine esplicito della loro organizzazione, che rivendicò ufficialmente la strage il giorno successivo.
Da allora, la natura della minaccia terroristica in Europa è mutata profondamente. Un modus operandi di tale complessità e sofisticatezza - caratterizzato dal coinvolgimento diretto di una grande organizzazione, una pianificazione attenta su scala transnazionale, il numero relativamente elevato di terroristi coinvolti (compresi attentatori suicidi), il loro dispiegamento simultaneo in più aree e l'impiego di armi da guerra -, già infrequente nel 2015, è poi sostanzialmente scomparso negli anni successivi, principalmente a causa del crollo del "Califfato" territoriale nel 2019 e dell'ulteriore intensificazione delle attività di prevenzione e repressione delle autorità antiterrorismo.
Al contrario, negli ultimi anni, la grande maggioranza degli attacchi è stata portata a termine da piccole cellule autonome o, più spesso, da singoli individui (lone actors), che hanno fatto solitamente ricorso ad armi rudimentali o improprie, come coltelli o veicoli lanciati sulla folla. Questi attentatori hanno risposto al richiamo della causa transnazionale del jihadismo, pur senza vantare un'appartenenza organica a organizzazioni come lo Stato Islamico o al-Qaida.
In altri termini, oggi la militanza formale non è più necessaria per agire in nome del jihad armato: l'aspirante terrorista può attivarsi, in modo spontaneo, da solo o all'interno di piccoli gruppi autonomi. Questa dinamica consente di mantenere elevato il livello di pericolo anche in contesti in cui le reti jihadiste sono ristrette, deboli e frammentate.
D'altra parte, a differenza del Bataclan, gli attacchi realizzati con queste modalità naturalmente tendono a essere meno sofisticati e sono, di norma, meno letali. In effetti, i dati disponibili confermano che negli ultimi dieci anni in Europa a diminuire non sia stata la frequenza degli attacchi, quanto la loro capacità di provocare vittime.
Com'è noto, nell'estremismo violento contemporaneo un ruolo cruciale è giocato dagli spazi digitali, dove la radicalizzazione avviene attraverso forme di interazione continua e immersiva. Il Web non si limita più a veicolare propaganda "a senso unico", ma costituisce un ambiente dinamico di socializzazione estremistica, sempre più intrecciato con la realtà fisica. Si pensi, a titolo di esempio, alle crescenti dinamiche di "gamification" online, con l'impiego di mezzi o elementi di carattere ludico, che rendono più labili i confini tra estremismo violento e gioco / spettacolo. In aggiunta, in questo ecosistema frastagliato e fluido, non è affatto raro che soggetti radicalizzati intreccino creativamente persino cause estremistiche molto diverse (per esempio, jihadismo e neonazismo).
Inoltre, un aspetto particolarmente allarmante di questi percorsi è l'abbassamento dell'età media dei soggetti radicalizzati e degli aspiranti terroristi, anche in Italia, persino sotto la soglia dei 14 anni, con implicazioni rilevanti e complesse non soltanto sul piano giudiziario, ma anche a livello psicologico, sociale ed educativo.
Sotto il profilo geopolitico, a dieci anni di distanza dal Bataclan, anche la "geografia" del jihadismo è cambiata. La caduta del "Califfato" in Siria e Iraq ha indebolito il "centro" del jihadismo globale nel Levante; nondimeno, in quella regione, gruppi armati come l'IS sono ancora attivi con cellule clandestine.
In particolare, in Siria il repentino crollo del regime di Bashar al-Assad nel dicembre 2024 e la complessa fase di transizione che ne è seguita hanno offerto nuove opportunità per gruppi jihadisti attivi nel paese. Rilevante è pure la questione, spesso dimenticata, della sicurezza dei campi profughi e delle prigioni improvvisate gestiti dalle milizie a maggioranza curda nel nord-est del paese; in queste strutture precarie sono richiusi decine di migliaia di sospetti membri dell'IS e loro famigliari, compresi centinaia di cittadini di paesi occidentali.
Peraltro, nulla mostra la portata dei cambiamenti avvenuti in Siria, un paese cruciale per la storia del jihadismo negli ultimi 15 anni, quanto il fatto che Ahmad al-Sharaa, già membro di al-Qaida e per qualche tempo sodale di Abu Bakr al-Baghdadi (storico leader dell'IS), con il nome di battaglia di Abu Muhammad al-Jawlani, sia oggi Presidente ad interim della Siria e, in occasione della sua visita ufficiale negli Stati Uniti questa settimana, abbia confermato addirittura la disponibilità del suo paese a entrare nella Coalizione Globale contro Daesh / Stato Islamico. Non è però detto che tutti i seguaci storici di al-Jawlani / al-Sharaa, compresi foreign fighters (anche occidentali), siano favorevoli a questa manovra di totale riposizionamento.
Nonostante la rilevanza, anche simbolica, del Medio Oriente per il jihadismo globale, da alcuni anni, la nuova frontiera di questo movimento transnazionale, composito ed eterogeneo, è rappresentata dall'Africa. In particolare, a sud del Sahara, operano diversi gruppi armati di ispirazione jihadista, in un'amplissima fascia di territorio che va quantomeno dal Mali sino al Mozambico. Questi gruppi armati, talora in competizione tra loro, traggono beneficio, in vario grado, dalla fragilità degli Stati, da dispute locali e tensioni etniche e da condizioni di povertà ed emarginazione delle popolazioni. Alcuni di questi gruppi si sono resi responsabili di gravissimi attacchi, anche contro le comunità cristiane locali.
A questo riguardo, proprio di questi giorni sono le notizie relative a una crescente pressione esercitata da Jamaʿat Nuṣrat al-Islām wa-l muslimīn (JNIM), affiliata ad al-Qaida, intorno a Bamako, capitale e città più popolosa del Mali (con oltre quattro milioni di abitanti).
In Asia, occorre ricordare quantomeno il dinamismo dello Stato Islamico Khorasan Province (ISKP), la branca dell'IS con base in Afghanistan. Anche a causa della repressione subita dai rivali talebani (ritornati al potere nel 2021), negli ultimi anni l'ISKP ha esibito una considerevole proiezione internazionale, in termini di raffinate campagne di propaganda in più lingue, ma anche di attività terroristica. Militanti dell'ISKP sono stati responsabili di attacchi di vasta portata come quelli del 3 gennaio 2024 in Iran (95 morti) e del 22 marzo 2024 in Russia (149 morti). In aggiunta, affiliati o simpatizzanti di questa potente branca regionale hanno progettato numerosi attacchi in Europa, anche di alto profilo.
Nel Vecchio Continente, da almeno 15 anni fa la Francia è il paese più interessato dalla minaccia jihadista, come dimostra anche la stessa strage del Bataclan. Il paese transalpino ha rappresentato un cruciale "laboratorio" per la costruzione del jihadismo europeo, con il radicamento di ampie reti estremistiche. Oggi, in aggiunta, alcune indicazioni preliminari suggeriscono la crescente vulnerabilità della Germania, documentata anche dal crescente numero di attacchi e piani terroristici.
In questo quadro regionale, l'Italia ha invece mantenuto storicamente una posizione relativamente marginale rispetto alla minaccia, beneficiando di una sorta di virtuoso "ritardo" rispetto ad altri paesi europei. Basti pensare che, a differenza della maggioranza dei paesi vicini, l'Italia non ha mai subito un attacco jihadista letale sul proprio territorio. Questa condizione favorevole non è affatto garantita; va preservata tenacemente, con continui investimenti in attenzione, energie e risorse.
Il jihadismo globale ha sempre cercato di cogliere opportunità offerte dal mutare degli scenari internazionali. Non sorprende quindi che abbia cercato di strumentalizzare anche lo scoppio della guerra nella Striscia di Gaza a seguito dell'attacco guidato da Hamas del 7 ottobre 2023. Questo sanguinoso conflitto armato ha avuto un impatto tangibile sulla minaccia jihadista in Europa, fungendo da ulteriore occasione di propaganda, da catalizzatore di processi di radicalizzazione e anche da moltiplicatore di piani terroristici. I dati attualmente disponibili mostrano che la guerra ha prodotto un aumento del numero degli attacchi eseguiti con successo in Europa, compresi quelli contro obiettivi ebraici e/o israeliani; non ha invece condotto a una crescita rilevante nel grado di organizzazione e nel livello di letalità di tali atti di violenza.
In Europa, il jihadismo globale, sebbene non si presenti più (quantomeno sino a oggi) nelle forme scioccanti e spettacolari di dieci anni fa, è riuscito a perdurare, adattandosi a nuove condizioni. È diventato, per molti versi, un rischio "a bassa intensità", diffuso e persistente, integrato ormai nell'articolato panorama della sicurezza europea.
Si conferma poi come una minaccia in grado di evolversi costantemente; si pensi, per esempio, all'interesse dimostrato dai jihadisti per l'intelligenza artificiale (IA), al momento impiegata principalmente nel campo della propaganda e dell'indottrinamento.
Di fronte a questo pericolo persistente e mutevole, dopo decenni di esperienza, è chiaro che la lotta al terrorismo non può limitarsi al contrasto e alla repressione, pur ineludibili, ma deve abbracciare la prevenzione, anche con la collaborazione di attori della società civile. In questa direzione, anche l'Italia è chiamata ad affiancare ai suoi apparati di antiterrorismo (tradizionalmente vigili, preparati e ben organizzati) un sistema organico di prevenzione della radicalizzazione violenta, analogo a quelli già sviluppati in molti paesi occidentali.
In conclusione, il decimo anniversario del Bataclan non è soltanto un doveroso momento di commemorazione, ma può essere anche un'occasione per riflettere sulla traiettoria del jihadismo globale e sulla capacità di contrasto e prevenzione nonché sulla resilienza delle società democratiche.
A questo proposito, è significativo notare che proprio all'inizio di questa settimana la magistratura francese ha formalmente aperto un'indagine a carico dell'ex-partner di Salah Abdeslam, accusata di progettare un attacco jihadista. L'inchiesta ha preso originariamente avvio dopo che gli inquirenti hanno scoperto che alcuni mesi fa la donna aveva consegnato illegalmente in carcere allo stesso Abdeslam una chiavetta Usb contenente materiali jihadisti. Un segno eloquente e inquietante, tra i tanti, della perdurante eredità degli attacchi del 13 novembre 2015.