ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

11/14/2025 | Press release | Distributed by Public on 11/14/2025 09:40

Gli effetti della guerra con Israele nelle relazioni tra Iran e Cina

  • Commentary Asia
    di Nicola Pedde
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Con lo scoppio della "guerra dei dodici giorni", che ha avuto inizio con l'attacco aereo di Israele ai danni delle basi nucleari dell'Iran nel giugno del 2025, la Repubblica popolare cinese (Rpc) si è immediatamente schierata a favore di Teheran, condannando l'attacco dell'esercito israeliano e difendendo invece la posizione del proprio partner commerciale. Tuttavia, alla condanna cinese degli attacchi non è seguita un'iniziativa di sostegno concreta: è infatti fallito il tentativo guidato congiuntamente da Cina, Pakistan e Russia di presentare una risoluzione di condanna dell'attacco al Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle nazioni unite (Onu). Questo evidenzia una dinamica importante di disequilibrio che da tempo avvantaggia Pechino nelle relazioni con Teheran: la Rpc, infatti, continua a beneficiare dell'acquisto di petrolio a costi inferiori a quelli di mercato, mentre l'Iran, in cambio, fatica ancora a ricevere un deciso supporto politico sulla scena internazionale.

Relazioni tra la Repubblica islamica dell'Iran e la Repubblica popolare cinese

La narrazione sulle relazioni tra Iran e Cina, in entrambi i paesi, è costruita sull'immagine di un rapporto più che bimillenario, imperniato sulla memoria del dialogo tra grandi imperi che seppero costruire una solida relazione mantenuta inalterata nei secoli[1]. Sebbene questo legame sia effettivamente di lunga durata, non sono mancate fasi di crisi nelle relazioni tra i due paesi, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, in conseguenza dei profondi mutamenti politici che hanno interessato prima la Cina, al termine del secondo conflitto mondiale, e poi l'Iran.

In quel periodo, la politica dichiaratamente filo-occidentale dello scià Mohammad Reza Pahlavi, unitamente ai rigori della rivoluzione culturale avviata da Mao Zedong, determinarono una lunga fase di crisi nelle relazioni tra i due paesi. La situazione mutò in modo significativo verso la fine degli anni Settanta, quando, nel giro di pochi anni, sia la Cina che l'Iran furono interessati da processi di profondo cambiamento che seguirono, in Cina, la morte di Mao nel 1976 e la successiva condanna della rivoluzione culturale, e, in Iran, la rivoluzione che tra il 1978 e il 1979 provocò la caduta della monarchia e l'instaurazione di una teocrazia di governo.

Un nuovo impulso alle relazioni tra i due paesi fu quindi impresso dalle dinamiche di trasformazione politica di entrambi, più in conseguenza delle rispettive posizioni di critica al modello occidentale che non in funzione di una reale piattaforma di interessi comuni. A dispetto del ricorrente stereotipo che descrive il legame come costruito sull'affinità tra due paesi eredi di antiche civilizzazioni, quindi, l'odierno rapporto tra Iran e Cina è stato plasmato da un pragmatismo politico incentrato sul contrasto al ruolo degli Stati Uniti (Usa) e dell'occidente. Tale convergenza ha dovuto tuttavia mitigare le notevoli distanze ideologiche tra Pechino e Teheran soprattutto nella sfera religiosa. Non dissimile da quello con la Russia, il modello delle relazioni tra l'Iran e la Cina è costruito principalmente attraverso un principio di "schieramento", che tende in tal modo a mitigare le profonde ideologiche e confessionali attraverso la ricerca di una comune posizione internazionale, volta a conseguire l'affermazione di modelli alternativi e in larga misura antagonistici a quello statunitense e, più in generale, occidentale.

Il rafforzamento di questo legame è passato anche attraverso i rapporti commerciali tra i due paesi che, complice l'isolamento internazionale dell'Iran a causa delle sanzioni internazionali, hanno visto una crescita dell'interscambio soprattutto nel corso degli ultimi due decenni, trasformando la Cina nel principale partner economico dell'Iran. Secondo i dati dell'amministrazione doganale iraniana, il valore dell'interscambio commerciale non petrolifero tra i due paesi ammonta oggi a $34,1 miliardi di dollari[2] - dei quali $14,8 di esportazioni iraniane in Cina e $19,3 di importazioni di prodotti cinesi. Sul piano delle esportazioni petrolifere la Cina rappresenta il principale acquirente della produzione iraniana destinata all'esportazione - si stima intorno al 90% del totale - con valori che nel 2024 si sono attestati intorno a 1,48 milioni di barili al giorno[3]. Il numero limitato di acquirenti del greggio iraniano, dovuto alle sanzioni e alle complessità delle transizioni finanziarie con Teheran, costringe tuttavia la Repubblica islamica a vendere il proprio greggio alla Cina a un prezzo al barile particolarmente scontato, con una riduzione che in alcuni periodi è inferiore di $3-6 rispetto a quello di mercato. In tal modo, le relazioni bilaterali tra i due paesi sono cresciute sistematicamente nel corso degli ultimi vent'anni, consentendo alla Cina di sfruttare il proprio legame con l'Iran anche per consolidare la strategia della Belt and road initiative (Bri) in un'area di cruciale importanza in Medio Oriente.

Cina e Iran hanno firmato nel 2016 un accordo quadro di cooperazione strategica, cui ha fatto seguito nel 2021 un accordo di cooperazione della durata di 25 anni, potenzialmente del valore di $400 miliardi[4]. Al tempo stesso, l'Iran ha aderito al consesso del Brics nell'ottobre del 2024, con l'intento di rafforzare le proprie relazioni diplomatiche ed economiche all'interno di una sfera di paesi meno inclini al rispetto dei pesanti vincoli imposti dalle sanzioni occidentali[5]. La percezione di Teheran del proprio ruolo nelle relazioni con la Cina, e con altri paesi dai rapporti a tratti conflittuali con gli Usa, tende però a essere idealizzata dall'Iran. Sebbene infatti il rapporto con Teheran consenta alla Cina - e alla Russia - di intrattenere fruttuose relazioni economiche e gestire un'importante leva negoziale con gli Stati Uniti, tale rapporto, nella percezione di Pechino e Mosca, è subordinato a ben più ampie considerazioni politiche e strategiche, che non consentono di attribuire all'Iran un valore innegoziabile.

In sintesi, quindi, mentre l'Iran ritiene di poter far leva sul proprio rapporto con la Cina in modo funzionale a gestire le sue tese relazioni con Usa ed Europa, l'equilibrismo della Cina nel mantenere rapporti costruttivi con gli stessi attori lascia escludere la possibilità di scelte radicali da parte di Pechino in difesa di Teheran. In tal modo, mentre per l'Iran il valore del proprio rapporto con la Cina ha carattere principalmente strategico, per Pechino si tratta invece di un legame strumentale, rilevante ma all'occorrenza sacrificabile sull'altare dei ben più importanti equilibri con gli Usa e i paesi occidentali.

Iran e Cina nella "guerra dei dodici giorni"

Nella notte tra il 12 e il 13 giugno del 2025, Israele ha lanciato un attacco aereo contro i siti del programma nucleare iraniano e le infrastrutture della produzione e della difesa missilistica del paese, in quello che la stampa ha poi definito come "conflitto dei dodici giorni". La crisi è stata ulteriormente aggravata quando, nella notte tra il 21 e il 22 giugno, gli Stati Uniti hanno deciso di unirsi all'operazione israeliana impiegando i propri bombardieri strategici per colpire gli impianti del programma nucleare di Fordo, Natanz e Isfahan, utilizzando speciali bombe a penetrazione nel tentativo di colpire le infrastrutture costruite in profondità.[6]

Il 13 giugno il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha espresso le preoccupazioni di Pechino per gli attacchi israeliani e le possibili conseguenze sul piano della sicurezza internazionale, opponendosi alla continuazione del conflitto e ribadendo l'esigenza di difendere la sovranità territoriale dell'Iran[7]. Di eguale tenore il comunicato pubblicato lo stesso giorno dal rappresentante diplomatico cinese all'Organizzazione delle nazioni unite (Onu) Fu Cong, che ha chiesto la cessazione immediata di ogni "avventurismo militare" e il rispetto delle parti per il diritto internazionale[8]. Ulteriori manifestazioni di condanna per l'attacco israeliano sono emerse nel successivo colloquio telefonico del 14 giugno tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il suo omologo iraniano Abbas Araghchi. Il 17 giugno è intervenuto sull'argomento anche il presidente X Jinping durante il vertice China-Central Asia ad Astana, dove ha ribadito le preoccupazioni della Cina e la richiesta di rispetto della sovranità iraniana[9]. Maggiori preoccupazioni sono poi emerse in occasione del successivo intervento militare statunitense nel conflitto, duramente criticato dall'ambasciatore Fu Cong nella riunione del consiglio di Sicurezza dell'Onu del 22 giugno, a cui è seguita una bozza di risoluzione per il consiglio di Sicurezza redatta dal ministero degli Esteri cinese insieme al Pakistan e alla Russia[10]. La cessazione delle operazioni militari israeliane e statunitensi il 24 giugno è stata infine accolta con soddisfazione dalla Cina, cha ha tuttavia continuato a insistere sulla necessità di una soluzione diplomatica atta a impedire nuovi possibili episodi di violenza.

A dispetto delle esternazioni critiche della diplomazia cinese, la postura di Pechino non si è tradotta tuttavia in un'azione diplomatica di maggiore efficacia. L'annunciata bozza di risoluzione per il consiglio di Sicurezza redatta insieme a Russia e Pakistan non è stata mai sottoposta al voto, probabilmente nella consapevolezza di un suo certo rifiuto da parte degli Usa. Non è inoltre sfuggito come la narrazione diplomatica cinese sia stata caratterizzata da condanne meramente simboliche, senza un'effettiva incisività nella critica verso Israele e soprattutto degli Stati Uniti. Il che dimostra come la crisi sia stata gestita dalla Cina attraverso il ricorso al tradizionale pragmatismo nel rapporto con Washington. La Cina, per quanto allarmata dall'evoluzione della crisi, ha atteso di valutarne gli effetti sul piano politico e militare senza assumere un'immediata e più incisiva posizione sul piano diplomatico, adottando una strategia di cautela volta a contenere ogni possibile ulteriore contrasto con gli Usa.

Dei tre principali obiettivi che Israele si era posto nella pianificazione dell'attacco all'Iran - colpire gli impianti del programma nucleare e dell'industria militare, impedire qualsiasi progresso nella conduzione del dialogo internazionale con l'Iran sul negoziato e destabilizzarne istituzioni e società nella prospettiva di una sollevazione popolare - la Cina è sembrata concretamente allarmata principalmente dal terzo, consapevole della sempre più accentuata polarizzazione politica interna al paese e della possibilità di una nuova ondata di proteste alimentate dagli effetti di un conflitto che è tornato a colpire le principali città del paese, quasi quarant'anni dopo la guerra con l'Iraq. Nessuno dei tre obiettivi strategici di Israele è stato in realtà pienamente raggiunto, e anche gli effetti dell'intervento statunitense sono tutt'ora oggetto di valutazioni alquanto discordanti tra loro. Tra questi obiettivi, quello certamente caratterizzato dal minor grado di successo è stato la destabilizzazione del sistema politico e sociale dell'Iran, fornendo in tal modo alla Cina sufficienti rassicurazioni che hanno favorito il mantenimento di una postura diplomatica cauta tanto con gli Usa quanto con Israele.

La posizione cinese è stata poi ulteriormente confermata nel corso del forum della Shanghai cooperation organization (Sco) tenutosi a Pechino il 15 luglio, dove il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha chiesto ai suoi omologhi del consesso regionale di definire un meccanismo di coordinamento per rispondere alle aggressioni militari a danno degli stati membri, non nascondendo una certa delusione per come soprattutto la Cina e la Russia avessero blandamente risposto alla minaccia sostenuta da Teheran poche settimane prima[11]. La richiesta, tuttavia, non ha riscosso il risultato auspicato dall'Iran, evidenziando invece una certa elusività della Cina e degli altri membri dello Sco nel rispondere alla proposta. L'incontro si è concluso con una mera dichiarazione poco più che formale che, nel condannare gli attacchi subiti dall'Iran, non ha nemmeno esplicitamente menzionato né Israele, né gli Usa[12].

L'evoluzione della crisi tra Israele e Iran ha in tal modo dimostrato un assunto evidente da tempo nelle relazioni bilaterali. Il rapporto tra Pechino e Teheran, per quanto importante, è costruito su un rapporto di potere sbilanciato a favore della Cina, che ne beneficia soprattutto sul piano economico, acquistando ingenti volumi di petrolio sotto al prezzo di mercato e, al tempo stesso, sfruttando l'Iran come piattaforma regionale per consolidare i progetti d'interconnessione globale inseriti nell'ambito della Bri. Al contrario, pur potendo veicolare attraverso la Cina importanti volumi petroliferi altrimenti difficili da commercializzare a causa delle sanzioni internazionali, la Repubblica islamica dell'Iran non riesce a ottenere in cambio un solido impegno politico per difendere in modo più strutturale i propri interessi e la propria sicurezza nazionale[13]. Uno squilibrio che non sfugge ai vertici del sistema politico iraniano che lamentano discretamente l'ambiguità cinese nel sostenere le istanze di sicurezza del paese, giungendo così a comprendere come la dimensione degli interessi globali di Pechino - e soprattutto i delicati equilibri con gli Usa - rappresenti favore delle sole prerogative di sicurezza dell'Iran[14]. Queste considerazioni caratterizzano già da tempo in Iran la natura del rapporto con la Russia, ritenuto altamente insoddisfacente in merito ai ritorni attesi da Teheran soprattutto alla luce del sostegno offerto dagli iraniani ai russi durante il conflitto in Ucraina, grazie al quale Mosca ha potuto beneficiare delle capacità tecnologiche di Teheran nella produzione di droni da combattimento. Contrariamente a quanto sperato, lamentano i vertici della Repubblica islamica, le promesse di cooperazione militare bilaterale che prevedevano la fornitura di caccia di quinta generazione e più moderni sistemi di difesa aerea sono rimaste a oggi alquanto vaghe e indefinite.

Non ha invece trovato ancora conferma, sebbene ampiamente riportata da numerosi organi di stampa internazionale, la notizia relativa a una presunta fornitura di armamenti da parte della Cina all'Iran all'indomani del conflitto con Israele. Diffusa inizialmente dalla stampa israeliana, la notizia riferiva della consegna di sistemi missilistici di difesa aerea, senza specificare particolari dettagli ma lasciando intendere che Pechino avesse cercato di fornire all'Iran rassicurazioni circa il proprio sostegno al paese. Tuttavia, questa 'informazione è stata smentita dal portavoce dell'ambasciata cinese in Israele e non è stato a oggi possibile verificare con certezza quanto fondata essa sia[15]. Inoltre, anche qualora la Cina avesse acconsentito a una urgente operazione di sostegno logistico per rafforzare le capacità di difesa aerea iraniane all'indomani del conflitto con Israele, appare improbabile che l'intensità di tale rapporto possa arrivare a un punto tale da compromettere la posizione di cautela e pragmatismo della Cina, tradizionalmente neutrale nelle crisi internazionali.

[1] S. Talebi, "Iran-China relations: an Iranian perspective", T.note n. 29, TWai, maggio 2017.

[2] "Iran-China non-oil trade stands at $9b in months", Tehran Times, 24 agosto 2025.

[3] "China's heavy reliance on Iranian oil imports", Reuters, 24 giugno 2025.

[4] "The Iran-China 25-year comprehensive strategic partnership: challenges and prospects", Position Paper, Rasanah, 26 marzo 2021.

[5] S. Patrick e E. Hogan, "BRICS expansion and future of world order: perspectives from member States, Partners, and Aspirants", Carnegie Endowment for International Peace, 31 marzo 2025.

[6] M.L. Fantappiè, "La guerra dei dodici giorni. L'Iran dopo l'attacco americano" (podcast), Affarinternazionali, 8 luglio 2025.

[7] M. Verzellino e A. Ghiselli, "Diminishing U.S. influence? Chinese official positions and expert debate on the Israeli-Iran conflict", China Med Project, 15 luglio 2025.

[8] "China's UN envoy condemns Israeli strikes on Iran - state media", Reuters, 13 giugno 2025.

[9] S. Gökce, "China's Xi blames Israeli attacks on Iran for 'sudden escalation of tensions' in Mideast", Anadolu Ajansi, 17 giugno 2025.

[10] "Chinese UN envoy condemns U.S. strikes on Iran nuke sites", People's Daily Online, 23 giugno 2025.

[11] "Iran urges SCO to play central role in tackling state terrorism, other threats", Asia Plus, 15 luglio 2025.

[12] S. McCarthy, "China was on the sidelines of the Iran-Israel war. That's just where it wanted to be", CNN, 18 luglio 2025.

[13] A. Borshchevskaya e G. Rumley, "Exploiting fault lines in Iran's relations with Russia and China after the Israel war", Washington Institute, 1 agosto 2025.

[14] "Cina: un'amica a metà" (traduzione dal persiano), Shargh Daily, 19 luglio 2025.

[15] J.L. Samaan, "Is the cautious China-Iran military cooperation at a turning point?", Atlantic Council, 29 agosto 2025.

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