11/15/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/15/2024 10:45
Fino ai primi anni 2000 la postura strategica della Turchia era considerata Western-oriented, ossia orientata unicamente al legame sia strategico sia economico con l'Occidente. A partire dal 2005, però, la strategia di politica estera turca è stata riconfigurata su nuovi principi, tra cui quello della multidirezionalità . Spesso interpretato, erroneamente, come uno slittamento da Occidente verso un non meglio identificato Oriente, la multidirezionalità è stata in realtà determinata dall'elaborazione e successiva interiorizzazione di una nuova concezione del ruolo nazionale da parte delle élite politiche turche a guida AKP. Nel giro di pochi anni la generale percezione dello Stato anatolico come "Paese ponte" tra Est e Ovest ha progressivamente lasciato il posto a una concezione di "Paese centrale o pivot" di una macroregione afro-euroasiatica. In virtù di tale ruolo le élite politiche nazionali hanno sviluppato nuove direttrici di politica estera, tra cui quella "meridionale" rivolta verso il Sud globale.
La tendenza turca verso una politica estera multidirezionale non rappresenta una completa novità . Le sanzioni imposte alla Turchia da parte degli Stati Uniti a seguito della crisi di Cipro (1974) e le successive scelte di politica economica (liberalizzazioni e privatizzazioni) durante il decennio di governo di Turgut Özal (1982-92) favorirono le prime aperture verso contesti regionali multipli come il Golfo e i Balcani. Con la fine del mondo bipolare la Turchia ha lentamente diversificato i partner politici ed economici, nonostante l'ancoraggio occidentale della sua politica estera. Tuttavia, nel corso degli anni Novanta la volontà di incrementare l'attivismo oltre le tradizionali direttrici fu limitata dall'instabilità politica interna e dalla fragilità dell'economia nazionale.
Solamente a partire dagli anni Duemila la convergenza di condizioni esterne e interne al Paese consentirono ai governi a guida AKP di implementare la multidirezionalità. Le riforme di stampo neoliberista e l'apertura al commercio estero avviata già negli anni Ottanta iniziò a dare i primi risultati. L'economia turca cambiò drasticamente passando da un'economia guidata dallo Stato e indirizzata quasi esclusivamente verso il mercato interno a un'economia aperta e integrata nel mercato globale. La Turchia iniziò a configurarsi sempre più come uno Stato commerciale. Di conseguenza i mercati di esportazione e gli investimenti diretti esteri diventarono sempre più importanti nell'agenda politica turca.
La multidirezionalità economico-commerciale si ampliò progressivamente. Dall'iniziale focus su Caucaso e Asia centrale, mercati dove il vuoto post-sovietico aveva aperto crescenti opportunità, l'attenzione di Ankara si è prima orientata anche verso il Medio Oriente e l'Asia e, infine, verso l'Africa sub-sahariana e l'America Latina. Nel giro di pochi mesi il ministero degli Affari esteri turco elaborò e rese pubblici i piani di azione sia per l'America Latina che per l'Africa, ponendo le basi per l'incremento della direttrice meridionale. Infatti, l'apertura economico-commerciale è stata in parte accompagnata e in parte trainata dal simultaneo incremento delle relazioni politiche contraddistinte dalle visite bilaterali di alto livello.
L'aumento dell'attenzione turca verso il Sud globale fu determinato da un mix di fattori interni ed esterni al Paese. Le élites turche presentarono il Sud globale come uno spazio ricco di opportunità economiche per i tanti imprenditori in cerca di nuovi mercati per l'export manifatturiero. Allo stesso tempo, nonostante la priorità politica di Ankara rimanesse il processo di adesione all'UE, il Sud globale fu visto come un'occasione di legittimazione del suo crescente status internazionale. Da qui la scelta di varare una serie di piani di apertura verso gli Stati dell'Africa sub-sahariana e dell'America Latina.
La proiezione sud della politica estera turca si concentrò su un'agenda soft attraverso il lancio di un'ampia gamma di istituzioni e agenzie e mediante il sostegno di organizzazioni di imprenditori, reti islamiche e ONG attive in contesti regionali multipli. Tra gli strumenti maggiormente utilizzati dalla Turchia per aumentare la sua presenza all'estero fino a quel momento pressoché sconosciuti, si possono citare la diplomazia culturale(scuole, corsi di lingua, borse di studio, serie televisive), la diplomazia umanitaria (aiuti umanitari, apertura di ospedali, campagne mediche, corsi di formazione per il settore sanitario), il branding (apertura di rotte servite da Turkish Airlines, sponsorizzazione di eventi sportivi e culturali) e la diplomazia religiosa (costruzione di moschee e corsi di formazione per imam).
Dal punto di vista economico ci fu in pochi anni un deciso incremento degli scambi e delle relazioni soprattutto nel settore delle costruzioni, del manifatturiero e dell'agroalimentare. L'attivismo economico turco verso il Sud globale fu trainato soprattutto dalle piccole e medie imprese anatoliche a cui le autorità diedero supporto burocratico, logistico e finanziario. Nel corso degli anni Ankara ha così agevolato lo sviluppo dei rapporti economico-imprenditoriali con i Paesi a basso reddito in una molteplicità di modi. Oltre ai più classici investimenti diretti e prestiti, la Turchia ha cercato di alimentare i legami di medio-lungo periodo con programmi di formazione professionale e corsi di lingua. Emblema di tale impegno sono però i piani di finanziamento di borse di studio che annualmente sono indirizzate a giovani di Paesi "target" per gli interessi economici e strategici turchi. Inoltre, ad agevolare ulteriormente l'incremento dei rapporti economici è stata la Turkish Airlines. La compagnia di bandiera turca, controllata statale, ha aumentato i collegamenti con l'America Latina, l'Africa e l'Asia. Le nuove tratte comprendono la possibilità per molti imprenditori provenienti dal Sud globale di godere con l'acquisto del biglietto areo di uno speciale visto per business. Tale sistema ha ridotto i tempi e i costi di accesso alla Turchia e ha di conseguenza reso lo Stato anatolico anche un punto di incontro per legami economici terzi. Con il passare degli anni la progressiva centralizzazione del potere politico in Turchia è stata accompagnata dall'emergere di grandi gruppi imprenditoriali legati o in qualche misura vicini alle élites politiche dell'AKP. Questi, come ad esempio Lidya Medencilik nel settore minerario e Aksa Enerji nel settore energetico, hanno condotto una rapida espansione delle loro attività nei mercati del Sud globale diventando presto importanti attori.
Dopo la crisi finanziaria del 2008-2009, il rimescolamento degli equilibri regionali post rivolte arabe del 2011 e l'incremento dei segnali di regressione democratica interna, la politica estera turca entrò in una nuova fase con l'obiettivo di acquisire lo status di attore mondiale. Al centro della rinnovata strategia trovò sempre più posto il Sud globale, dove la Turchia si è ritagliata un ruolo sempre più rilevante contraddistinto da caratteristiche uniche rispetto a quelle di altre entità. Pur non essendo né considerandosi un Paese del Sud globale, la Turchia ha iniziato a sperimentare un modello di intervento, sviluppo e relazione di natura orizzontale che molto riprende dalla cooperazione Sud-Sud.
Nei contesti dell'Africa sub-sahariana così come in alcuni dell'America Latina, la Turchia promuove l'Ankara consensus. Seppure non sia un concetto ben definito, l'Ankara consensus è concepito come un nuovo modello di sviluppo economico, politico e sociale dei Paesi a basso e medio reddito, alternativo sia al cosiddetto Washington consensus, agenda economica e di sviluppo democratico e neoliberista, sia al più recente Beijing consensus, inteso come una proposta di crescita economica guidata dallo Stato e priorità data alla stabilità rispetto alla democrazia. La Turchia tenta di promuovere nel Sud globale una via di mezzo, o una terza via, attraverso l'attuazione di una politica di sviluppo vantaggiosa e sostenibile, che comprenda anche gli sforzi rivolti verso una politica di emancipazione reciproca. Invece di creare nuove relazioni di dipendenza, l'approccio della Turchia, in particolare verso l'Africa sub-sahariana, tende a concentrarsi sull'uguaglianza politica, sullo sviluppo economico e sulla costruzione di relazioni sociali a lungo termine. L'idea di Ankara non rifiuta né nega i benefici e le opportunità del capitalismo e dell'integrazione nel mercato globale. Pertanto, cerca di condividere con i Paesi a basso e medio reddito il proprio paradigma di sviluppo o la propria formula che, soprattutto nel primo decennio degli anni Duemila, è risultata di successo.
Dal punto di vista della narrazione, la Turchia richiama molti dei concetti della cooperazione Sud-Sud, come per esempio l'idea di crescita reciproca e di sviluppo di una partnership fondata sull'interdipendenza. L'assistenza turca si pone come obiettivo primario l'autosufficienza e la sostenibilità dei Paesi in cui interviene. L'aumento della presenza diplomatica e commerciale nei contesti del Sud globale ha progressivamente assunto una dimensione politica e di sicurezza. La convinzione di Ankara è che la maggiore rilevanza nelle vicende politiche di contesti multipli anche lontani geograficamente dalle sue tradizionali aree di interesse sia funzionale all'acquisizione dello status di attore globale. Da qui il tentativo di aumentare l'interesse e l'appealsfruttando uno dei settori in maggiore crescita dell'economia turca: l'industria della difesa. Il settore ha dimostrato infatti di essere un'area in cui gli interessi economici e commerciali turchi convergono e in alcuni casi corrispondono alle esigenze delle élites di molti Stati del Sud globale. La Turchia ha iniziato a utilizzare i prodotti della sua industria della difesa come merce di scambio soprattutto per ottenere concessioni in materia energetica.
Il crescente attivismo globale turco ha spinto a guardare con interesse all'evoluzione del gruppo dei BRICS. A prescindere dalle dichiarazioni, spesso funzionali nella politica turca a guadagnare margini di negoziazione su altri tavoli, è difficile immaginare un ingresso della Turchia nell'alleanza. All'interno dello stesso establishment politico ed economico a livello nazionale c'è il timore che l'eventuale percorso di adesione ai BRICS possa condurre a una situazione simile allo stallo con l'UE. Più probabile che Ankara cerchi di sfruttare a suo vantaggio l'attuale fase di disordine internazionale per guadagnare spazi di manovra e autonomia strategica nei confronti degli Stati Uniti e più in generale dei tradizionali partner occidentali.
Detto questo, la Turchia è consapevole che molti dei suoi benefici anche nel contesto del Sud globale dipendano proprio dalla sua natura ibrida di potenza emergente, a maggioranza musulmana e membro della NATO. In un contesto globale sempre più polarizzato in un confronto tra democrazie e non democrazie e/o Occidente e il resto del mondo, le élite politiche turche cercano di presentarsi come l'interlocutore in grado di mantenere buoni rapporti con entrambi gli schieramenti. Di conseguenza sono molti i Paesi del Sud globale che scelgono di collaborare e aumentare le relazioni con la controparte anatolica poiché considerano i costi politici di tale legame inferiori a quelli di una decisa scelta di campo. Un aspetto, quest'ultimo, su cui Ankara sta facendo leva per aumentare la rilevanza a livello globale e navigare in contesto internazionale sempre più instabile e difficilmente prevedibile.