01/14/2025 | Press release | Distributed by Public on 01/14/2025 04:17
Oggi, 14 gennaio, in occasione del suo compleanno, lo scienziato svedese-iraniano Ahmadreza Djalali, arrestato nel 2016 e condannato a morte dal 2017, ha inviato dal carcere iraniano di Evin un disperato appello alla comunità internazionale affinché si mobiliti per consentire il suo ritorno a Stoccolma.
Ahmadreza Djalali, dopo aver trascorso buona parte della prima metà dello scorso decennio a Novara, presso l'Università del Piemonte Orientale, nel 2016 accettò un invito a recarsi in Iran: un'occasione per rivedere parte della sua famiglia. Viveva e conduceva le sue ricerche in Europa, tra Stoccolma, in Svezia - dove risiedono la moglie e i loro due figli -, Lovanio, in Belgio, e, appunto, Novara. Quella che sembrava essere un'opportunità, però, si è rivelata una trappola.
Djalali è rinchiuso nel braccio della morte del carcere di Evin da quasi otto anni, condannato in via definitiva all'impiccagione un anno dopo il suo arresto, avvenuto il 25 aprile 2016, sulla base della falsa accusa di spionaggio verso Israele.
"Le autorità svedesi sono state informate della mia situazione disperata, ma il mio caso non è stato considerato una priorità. Temo per la mia vita, rischio di essere ucciso. Una decisione presa dalle autorità iraniane sette mesi fa ha soltanto confermato le mie paure. Sono stato abbandonato nel mezzo di una situazione terribile, con il rischio imminente di esecuzione", ha detto Djalali nell' audio.
"Sono uno scienziato, non una spia", ha ripetuto più volte ai suoi carcerieri, agli interrogatori, ai giudici. Invano.
Accettando la cosiddetta "politica degli ostaggi" iraniana, nel giugno 2024 il governo svedese ha negoziato il ritorno in patria di due suoi cittadini detenuti: un funzionario dell'Unione europea e un cittadino in condizioni di salute precarie. Djalali, tuttavia, è stato escluso da questo "scambio", attraverso il quale è stato invece rimpatriato in Iran Hamid Nouri, condannato in via definitiva all'ergastolo per il ruolo avuto nel massacro delle prigioni del 1988.
Anche alla luce del drammatico messaggio proveniente da Evin, Amnesty International Italia esorta le autorità italiane ad agire per ottenere al più presto l'annullamento della condanna a morte di Djalali e la sua liberazione, consentendo il suo immediato ritorno in Svezia.