ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

09/24/2024 | Press release | Distributed by Public on 09/24/2024 02:37

Emirati Arabi Uniti: tra diversificazione economica e multipolarismo

Per gli Emirati Arabi Uniti (Eau) l'obiettivo della diversificazione economica è già una realtà: oltre il 70% del prodotto interno lordo della federazione è di provenienza non-oil. Un traguardo che non distrae, però, il governo di Abu Dhabi da nuovi investimenti nell'energia, soprattutto nel gas naturale, date le prospettive della domanda dai paesi asiatici ed europei. In politica estera gli Emirati consolidano la scelta del multi-allineamento, anteponendo la cooperazione con gli Usa a quella con la Cina solo nel settore iper-strategico dell'intelligenza artificiale (AI). Gli Emirati percepiscono il multipolarismo come una necessità economica e, insieme, un'opportunità di affermazione politica nel variegato contesto del "Global South". Sul piano mediorientale, Abu Dhabi lavora per la de-escalation tra Iran e Israele, potrebbe partecipare a una forza internazionale di peacekeeping per Gaza, e vede peggiorare il quadro di sicurezza nel Mar Rosso meridionale-Golfo di Aden (Yemen; Sudan). Al contempo, è sempre più evidente la corsa emiratina ai minerali e ai metalli strategici tra Africa e America Latina.

Quadro interno

Secondo i dati preliminari diffusi dal governo, nell'ultimo quadrimestre del 2023 l'economia emiratina è cresciuta del 4,3% rispetto all'anno prima[1]. Continuano i dati positivi del non-oil: negli Emirati Arabi, la diversificazione economica oltre gli idrocarburi è già una realtà, dato che il non-oil equivale adesso a oltre il 70% del prodotto interno lordo della federazione[2]. Nello specifico, il non-oil dell'emirato di Abu Dhabi è cresciuto fino al 59% in un decennio (era il 46% nel 2011) e il settore manifatturiero dell'emirato di Abu Dhabi rappresenta oggi il 51,3% del prodotto interno lordo industriale degli Emirati Arabi[3]. A ogni modo, gli idrocarburi continuano a costituire un moltiplicatore di investimenti interni ed esteri, generando così ulteriore rendita per la diversificazione economica. Per esempio, la divisione gas di Adnoc (Abu Dhabi National Oil Company) ha recentemente svelato i prossimi piani di sviluppo. Tra il 2024 e il 2029 la compagnia statale prevede di investire oltre 13 miliardi di dollari nel settore del gas naturale liquefatto (Gnl), anche per accrescere i volumi di export di Gnl emiratino: Abu Dhabi intende raddoppiare la capacità produttiva di gas entro il 2029, con lo sguardo rivolto alla domanda energetica asiatica ed europea.

In ambito finanziario, la Financial Action Task Force (Fatf)[4] ha rimosso nel 2024 gli Emirati Arabi dalla grey list dei paesi a rischio per transazioni finanziarie illecite e il ranking di Abu Dhabi è migliorato di sedici posisioni tra il 2021 e il 2023 (Basel Anti-Money Laundering Risk Index). Gli Eau erano stati inseriti in quell'elenco nel 2022, quando l'organizzazione aveva sottolineato i rischi per le transazioni riguardanti banche, proprietà, metalli e gemme preziose. Per ottenere il sospirato de-listing, il governo emiratino ha rafforzato la legislazione federale antiriciclaggio, nonché lo schema normativo per il contrasto al terrorismo. Vi sono tuttavia ancora degli sforzi da fare: per esempio, gli Emirati Arabi hanno temporaneamente sospeso trentadue raffinerie di oro nel paese (equivalenti al 5% del settore). Anche per ottemperare alle richieste della Fatf, il governo ha infatti incrementato i controlli nel quadro di una politica più rigorosa nei confronti di illeciti che danneggiano l'immagine della federazione, specie agli occhi degli investitori internazionali. Un report dell'organizzazione svizzera Swissaid sostiene che gli Emirati Arabi sarebbero la principale destinazione dell'oro importato dall'Africa e non dichiarato per l'export, con Dubai che fungerebbe da piattaforma privilegiata per raffinazione e re-export[5]. Inoltre, dopo l'invasione russa dell'Ucraina, l'oro esportato dalla Russia aggirerebbe le sanzioni "triangolando" soprattutto negli Eau[6]. Nel 2022 gli Emirati Arabi hanno superato il Belgio come principali esportatori di diamanti grezzi, con Dubai che ha sorpassato Anversa come hub delle gemme preziose, anche grazie alla vicinanza geografica con l'India, paese leader per giacimenti e lavorazione, e alla firma del Comprehensive Economic Partnership Agreement (Cepa) fra i due paesi. È dunque nell'interesse delle autorità emiratine regolamentare ulteriormente gli scambi finanziari al fine di fugare dubbi e opacità, specie nel momento in cui il paese inanella accordi minerari all'estero tra Africa e America Latina.

Proprio i Cepa consentono agli Emirati Arabi di rafforzare la crescita economica, accedendo a nuovi mercati, anche non-oil, senza barriere tariffarie e con procedure semplificate. Per il governo emiratino, i Cepa sono più di semplici accordi di libero scambio: essi rappresentano uno strumento di raccordo fra economia nazionale e politica estera, presentano una forte connotazione geopolitica e spesso anticipano la cooperazione nella difesa. Dal 2022 gli Emirati Arabi hanno siglato numerosi Cepa, iniziando con India, Israele e Indonesia. Nel 2023 sono seguiti gli accordi con Turchia, Cambogia, Georgia, Mauritius, Repubblica del Congo-Brazzaville; nel 2024 con Kenya, Colombia, Cile, Corea del Sud. Negoziati sono in corso con Brasile, Australia, Nuova Zelanda, Ucraina, Ecuador, Costa Rica, Filippine.

In tema di diritti due episodi hanno richiamato l'attenzione sulla libertà di espressione, manifestazione e associazione negli Eau. Nel luglio 2024 la Corte federale di Abu Dhabi ha condannato cinquantasette cittadini del Bangladesh che si erano radunati e avevano incitato alla rivolta in numerose città degli Emirati, in segno di protesta verso le istituzioni del Bangladesh travolte da una profonda crisi sociale e politica. Tre bengalesi sono stati condannati alla prigione a vita e, quasi tutti i restanti, a dieci anni di carcere; tra i capi d'imputazione vi è anche la diffusione online di riprese effettuate durante le proteste. Tutti sono stati poi perdonati dal presidente e ne è stato ordinato il rimpatrio. La stessa Corte, sempre nel mese di luglio, aveva poi condannato quarantatré attivisti accusati della "creazione di un'organizzazione terroristica" (tra cui leader e membri della Fratellanza musulmana) istituita "con l'obiettivo di commettere atti di terrorismo nel paese"[7]. Gli imputati possono fare ricorso alla Corte suprema federale. Dal 2014 gli Emirati classificano la Fratellanza musulmana e la sua branca locale al-Islah come organizzazioni terroristiche.

Relazioni esterne

In politica estera, gli Emirati Arabi consolidano la scelta multipolare. Dalla prospettiva di Abu Dhabi, il multipolarismo è una necessità innanzitutto per il percorso post-oil dell'economia e questo spinge la federazione a non schierarsi tra i poli rivali dell'ordine internazionale. Lo schema di pensiero bipolare e la contrapposizione tra blocchi - anche in termini di sanzioni economiche - sono quanto di più lontano vi sia dall'approccio delle autorità emiratine che ragionano, invece, in termini di connettività e sinergie con i vicini e gli attori globali. Una direttrice strategica divenuta più evidente con l'acuirsi delle crisi regionali e internazionali che hanno messo a rischio la stabilità del quadrante (come l'attacco iraniano agli impianti di Saudi Aramco nel 2019 e gli effetti economici della pandemia da Covid-19 nel 2020). Il coinvolgimento degli Emirati Arabi in tutti i grandi progetti infrastrutturali in Medio Oriente, pur tra loro in competizione, è di per sé l'incarnazione del multipolarismo emiratino: dalla Belt and Road Initiative cinese, al Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (Imec) sostenuto dagli americani, fino all'Arab Development Road per collegare l'Iraq all'Europa via Turchia. Tuttavia, gli Emirati Arabi guardano al multipolarismo anche come a un'opportunità tesa a plasmare, trasformandole, le regole del sistema internazionale, nel quadro di una maggior attenzione al cosiddetto Global South. L'obiettivo è adeguare lo status delle monarchie del Golfo al ruolo che esse ormai occupano in ambito economico, geopolitico e di difesa. Gli Emirati Arabi, divenuti partner di dialogo dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) nel 2023 e membri dei Brics nel 2024, ambiscono a consolidarsi come paese ponte tra l'area del G7 e quella del Sud Globale, ponendosi come facilitatori politici e mediatori internazionali in un quadro in rapida mutazione. Va in questa direzione l'azione emiratina come membro non permanente in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel biennio 2021-2023, nonché la partecipazione del presidente Mohammed bin Zayed al-Nahyan - unico tra i leader del Golfo - ai lavori del G7 italiano del giugno 2024. La scelta multipolare degli Emirati si mostra oggi più consapevole e persino audace. Basti pensare ai rapporti con l'Afghanistan dei talebani: Mohammed bin Zayed ha ricevuto ad Abu Dhabi Sirajuddin Haqqani (ministro degli Interni e leader della rete Haqqani, sul quale pende una taglia degli Stati Uniti per numerosi attacchi terroristici), nelle stesse ore in cui il fratello nonché consigliere alla sicurezza nazionale Tahnoon bin Zayed al-Nahyan si trovava negli Stati Uniti per incontrare l'omologo Usa Jake Sullivan. In seguito, gli Emirati hanno accreditato, unico paese insieme alla Cina, l'ambasciatore inviato dai talebani.

Dal momento che la politica emiratina è profondamente pragmatica, il multipolarismo di Abu Dhabi non va però scambiato per un'ideologia. Gli Emirati sono infatti consapevoli dell'insostituibilità dell'alleanza con Stati Uniti, soprattutto nel settore della difesa: ma intendono essere sempre più autonomi, coltivando partnership multiple e soprattutto la capacità di auto-difesa nazionale. Il multi-allineamento in politica estera offre comunque agli Eau la possibilità di prendere posizioni anche nette, quando considerato necessario al perseguimento degli obiettivi strategici del paese. È il caso dell'intelligenza artificiale (AI) e delle tecnologie avanzate per la difesa, settore in cui gli emiratini hanno ingaggiato una competizione regionale con l'Arabia Saudita. Nel 2024 gli Emirati hanno infatti ridotto - anche disinvestendo - la cooperazione con la Cina nell'AI per stringere nuovi accordi con gli Stati Uniti, di fronte all'autaut di amministrazione e Congresso Usa[8]. Una decisione specifica e settoriale che non scalfisce però la relazione sino-emiratina, con Mohammed bin Zayed che si è recato in Cina in visita ufficiale nel giugno 2024; a margine del Forum di cooperazione Cina-paesi arabi, i due leader hanno concordato di espandere la partnership strategica che Abu Dhabi firmò, prima fra le monarchie del Golfo, nel 2018.

Sul piano mediorientale, gli Emirati Arabi proseguono la politica di distensione regionale e cooperazione economica intrapresa dal 2019, dopo anni di aspra polarizzazione in Medio Oriente, e finalizzata a massimizzare gli obiettivi di crescita e diversificazione economica della federazione. La tenuta del quadro regionale - dunque della stessa strategia politica emiratina - dipende dalle implicazioni della guerra fra Israele e Hamas a Gaza, con il rischio costante di un conflitto diretto fra Iran e Israele. Il governo emiratino ha fin qui confermato gli Accordi di Abramo con Israele firmati nel 2020: per Abu Dhabi, l'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza rende però difficile l'approfondimento della cooperazione bilaterale in questa fase politica, per calcoli d'impopolarità regionale e soprattutto tra la popolazione residente negli Eau. Gli Emirati Arabi si sono spinti più avanti di tutti, fra i paesi arabi, sul tema del dopo-guerra a Gaza: in un editoriale sul Financial Times Lana Nusseibeh, già ambasciatrice emiratina all'Onu e oggi influente assistant minister al ministero degli Esteri, ha scritto che gli Eau sarebbero disponibili a partecipare a una missione internazionale temporanea a Gaza, su invito formale dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) e con "l'indispensabile" leadership americana, per affrontare la crisi umanitaria, "stabilire legge e ordine" e gettare le basi per un governo che unifichi Gaza e Cisgiordania sotto un'unica autorità nazionale palestinese[9]. Più in generale, qualunque formula per il "day after" a Gaza deve prevedere, secondo la posizione emiratina: il ritiro completo delle forze israeliane dalla Striscia; l'autogoverno dei palestinesi a Gaza; un percorso chiaro per la soluzione a due stati[10].

Il conflitto di Gaza ha una ramificazione nel Mar Rosso meridionale-Stretto del Bab el-Mandeb-Golfo di Aden, a causa degli attacchi degli houthi yemeniti contro le navi commerciali, in dichiarata solidarietà con i palestinesi della Striscia. La crisi della navigazione nel Mar Rosso genera un impatto economico negativo anche per gli Eau e si inserisce in un quadro di crescente peggioramento per la strategia emiratina nel quadrante. I profitti di DP World, la compagnia di trasporto e logistica di Dubai, sono calati del 60% nel primo semestre 2024 (265 milioni di dollari a fronte di 651 milioni nello stesso periodo 2023): secondo quanto comunicato dalla stessa azienda, le perdite sono in parte dovute alla crisi nel Mar Rosso[11]. Nell'area, DP World gestisce il porto saudita di Jedda, che dall'inizio degli attacchi houthi nel novembre 2023 ha visto scendere quasi del 70% i volumi commerciali, specie nel traffico container[12], e più a nord il porto egiziano di Ain al-Sokhna. Inoltre, la crisi nel Mar Rosso e le misure economiche adottate dagli houthi per danneggiare gli avversari yemeniti hanno messo in ulteriore difficoltà le forze politico-militari dello Yemen che si oppongono al movimento-milizia filo-iraniano, tra cui il secessionista Consiglio di transizione del sud (Stc) sostenuto dagli Emirati Arabi nelle regioni meridionali. Per esempio, gli attacchi alla navigazione hanno fatto crollare il traffico commerciale del porto di Aden, città controllata dai filo-emiratini, e gli houthi hanno reindirizzato molti cargo da Aden al porto di Hodeida, da loro controllato. Nel 2022 gli houthi avevano già colpito l'export petrolifero dai terminal del sud, bloccando così l'export di greggio dal paese, ancora oggi principale fonte di rendita per il governo. Un quadro economico che danneggia le istituzioni riconosciute del paese, di cui i secessionisti meridionali del Stc sono formalmente parte, indebolendo così la credibilità politica degli alleati degli Emirati Arabi in Yemen, che appaiono sempre più incapaci di erogare servizi alla popolazione locale. Inoltre, le informazioni diffuse dall'intelligence Usa secondo cui gli houthi e i somali di al-Shabaab (affiliati di al-Qaeda) si starebbero accordando affinché i primi forniscano armi (droni in particolare) agli Shabaab[13] darebbe vita a una cooperazione più stretta fra due gruppi accomunati - oltreché dall'anti-americanismo - anche dall'ostilità nei confronti degli Emirati Arabi, potenza assai attiva nel quadrante. Nel febbraio 2024 tre militari emiratini sono stati uccisi in un attacco degli Shabaab in una base militare di Mogadiscio, mentre addestravano l'esercito nel quadro dell'accordo di sicurezza Emirati-Somalia del 2023. E poi c'è il Sudan. L'esercito sudanese ha accusato gli Emirati Arabi di fornire armi alle Forze di supporto rapido (Rsf): un'informazione smentita dalle autorità emiratine ma che gli esperti delle Nazioni Unite considerano "credibile"[14]. Gli Stati Uniti hanno chiesto alle potenze esterne, compresi gli Emirati, di fermare il sostegno alle parti belligeranti[15]. Gli Emirati Arabi sono tra i principali donatori mondiali per il Sudan, con particolare attenzione ad assistenza medica e alimentare; inoltre, Abu Dhabi fa parte del gruppo diplomatico Aligned forAdvancing Lifesaving and Peace in Sudan(Alps), fin qui riunitosi a Jedda e a Ginevra. Nel quadrante del Mar Rosso, Yemen, Somalia e Sudan sono pertanto tasselli di un mosaico di sicurezza in peggioramento e che vede, al momento, la strategia economico-geopolitica degli Emirati Arabi in difficoltà.

Invece, da un biennio, la corsa degli Emirati Arabi alle acquisizioni nel settore minerario non conosce rallentamenti, in particolare per i minerali e i metalli dual-use, ovvero utili anche nel campo della difesa oltreché per la transizione verde, digitale e lo sviluppo industriale. Zambia, Angola, Burundi (in trattativa avanzata), Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Zimbabwe, Kenya, Mauritania, Brasile, Perù e Pakistan: sono molti i paesi, soprattutto africani, nei quali compagnie emiratine anche statali hanno recentemente firmato accordi per l'approvvigionamento di rame, stagno, tantalio, tungsteno, ferro, niobio e litio[16]. Sono tre i fattori che avvantaggiano gli Emirati Arabi su altre potenze, ponendoli in Africa in competizione diretta con la Cina: la creazione nel 2022 di International Resources Holding, compagnia afferente all'influente Shaykh Tahnoon e che ambisce a occuparsi dell'intera supply chain mineraria (dall'esplorazione alla commercializzazione, passando per l'estrazione e la raffinazione); la presenza di una fitta rete di porti commerciali costruiti e/o gestiti direttamente dalle emiratine DP World e Abu Dhabi Ports Group; essere percepiti dai governi locali come l'alternativa per sfuggire alla dicotomia geopolitica tra Cina e Stati Uniti.

[1] "UAE economy grew 4.3% in fourth quarter of 2023", Reuters, 23 maggio 2024.

[2]Ibidem.

[3] Abu Dhabi Department of Economic Development, "59% growth of Abu Dhabi non-oil GDP in 10 years", 2024.

[4]https://www.fatf-gafi.org

[5] "On the trail of African gold", Swissaid, 30 maggio 2024.

[6] P. Hobson, "Exclusive: From Russia with gold: UAE cashes in as sanctions bite", Reuters, 25 maggio 2023; T. Wilson, "How Dubai became 'the new Geneva' for Russian oil trade", Financial Times, 19 luglio 2023.

[7] "Abu Dhabi Federal Appeals Court convicts defendants in case of terrorist 'Justice and Dignity Committee' organisation", WAM-Emirates News Agency, 10 luglio 2024.

[8] E. Ardemagni, "Arabia Saudita - EAU: sul fronte AI meglio scegliere gli USA", ISPI Commentary, 25 luglio 2024.

[9] L. Nusseibeh, "UAE: A temporary international mission is needed in Gaza", Financial Times, 17 luglio 2024.

[10] E. al-Ketbi, "The UAE and 'The Day After' in Gaza: The Road to Sustainable Regional Peace", Emirates Policy Center, 9 agosto 2024.

[11] J. Gambrell, "Dubai-based port operator DP World's half-year profits fall nearly 60%, in part over Red Sea attacks", Associated Press, 15 agosto 2024.

[12] L. Nightingale e B. Diakun, "Saudi's Red Sea box port traffic decimated by Houthi attacks", Lloyd's List, 7 marzo 2024.

[13] K.B. Lillis, K. Atwood e N. Bertrand, "US intelligence assesses Houthis in Yemen in talks to provide weapons to al-Shabaab in Somalia, officials say", CNN, 11 giugno 2024.

[14] "UN Report Says Ethnic Violence Kills Up to 15,000 in 1 Sudan City", Voice of America, 19 gennaio 2024.

[15] M. Nichols, "US appeals to UAE, others to stop support for Sudan's warring parties", Reuters, 29 aprile 2024.

[16] E. Ardemagni, "Minerals (also) for Defence: Unlocking the Emirati Mining Rush ", ISPI Analysis, 23 luglio 2024.