ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

12/15/2025 | Press release | Distributed by Public on 12/15/2025 10:49

Attentato in Australia: the day after

Pochi minuti, il rumore di colpi d'arma da fuoco, la folla che grida e scappa. I frammenti di video circolati ieri in rete dopo l'attentato a Bondi Beach, la spiaggia più celebre di Sydney, hanno piombato l'Australia nell'incubo del terrorismo. Secondo la polizia del Nuovo Galles del Sud, almeno due attentatori - padre e figlio, il primo dei quali ucciso dagli agenti - hanno aperto il fuoco sulle persone che festeggiavano Hannukah, la festa ebraica che celebra la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme. L'attentato di matrice terroristica ha provocato 15 vittime e 42 feriti, molti dei quali in gravi condizioni. Tra loro una bambina di 10 anni, due rabbini e un sopravvissuto all'Olocausto di 87 anni: è una delle stragi di odio antisemita più gravi mai vista fuori dal territorio israeliano. Nella concitazione del momento un uomo, che la stampa internazionale oggi definisce all'unisono un "eroe" ha aggredito uno degli attentatori, disaramandolo. Si chiama Ahmed el Ahmed, è un fruttivendolo musulmano di origine siriana, padre di due figli. Nel corso del suo incredibile intervento, diventato virale sui social, è stato colpito a una gamba ma non è in pericolo di vita. "Il suo incredibile coraggio ha senza dubbio salvato innumerevoli vite", ha dichiarato il premier del Nuovo Galles del Sud, Chris Minns, dopo avergli fatto visita in ospedale: "Non c'è dubbio che sarebbero andate perse più vite se non fosse stato per Ahmed".

Antisemitismo in crescita?

Sebbene le sparatorie di massa siano rare in Australia, la comunità ebraica era già in fibrillazione dopo l'aumento del numero di episodi antisemiti negli ultimi due anni. Il governo ha adottato una serie di misure di sicurezza e precauzionali, ma le autorità israeliane hanno più volte manifestato dubbi sul fatto che fossero inadeguate. Così, all'indomani del peggior attacco della sua storia recente, il premier Anthony Albanese si è trovato non solo a dover confortare un paese preoccupato e in lutto ma anche a difendere il suo governo dalle critiche mosse Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano ha infatti accusato il governo di Sydney di aver "gettato benzina sul fuoco antisemita" con il recente riconoscimento dello Stato di Palestina. "Il vostro governo non ha fatto nulla per fermare la diffusione dell'antisemitismo in Australia. Non avete fatto nulla per frenare le cellule tumorali che stavano crescendo all'interno del vostro Paese" ha detto Netanyahu. "Non avete preso alcuna misura. Avete lasciato che la malattia si diffondesse e il risultato sono gli orribili attacchi contro gli ebrei a cui abbiamo assistito oggi". Commentando le sue parole, pronunciate poche ore dopo la strage, Albanese ha rigettato ogni collegamento tra il riconoscimento dello Stato palestinese e il massacro di Bondi, ribandendo che "la stragrande maggioranza del mondo riconosce che la soluzione dei due Stati è la strada da seguire in Medio Oriente". Le accuse mosse all'esecutivo australiano, osserva oggi il quotidiano Ha'aretz, "sottolineano il contrasto tra la prontezza del governo israeliano ad attribuire la responsabilità del terrorismo all'estero e il suo continuo rifiuto di assumersi la responsabilità del massacro del 7 ottobre, a più di due anni di distanza". Proprio in questi giorni è in fase di discussione l'istituzione di una commissione d'inchiesta ufficiale sull'attacco di Hamas nel sud di Israele.

Più armi, più rischi?

Di certo l'attacco a Bondi Beach costringe la società australiana a interrogarsi sul controllo delle armi da fuoco, un tema che molti nel paese ritenevano archiviato. Infatti l'Australia - teatro nel 1996 del massacro di Port Arthur in Tasmania, in cui persero la vita 35 persone - possiede una legislazione sulle armi tra le più severe ed efficaci al mondo. Dopo l'orrore di quell'episodio il governo federale e i governi statali collaborarono per limitare le armi semiautomatiche, inasprire i requisiti per le licenze e introdurre condizioni più stringenti per i possessori. "Pensavamo di avere una legge rigorosa sul porto d'armi. Ma evidentemente non lo era abbastanza", ha detto il premier Albanese. Lunedì mattina la polizia ha confermato che uno dei presunti autori della sparatoria era un possessore registrato di armi da fuoco e aveva sei armi da fuoco ottenute legalmente. Tra i sostenitori del controllo delle armi cresce la preoccupazione che queste siano ancora troppo facili da reperire e gli esperti di sicurezza hanno messo in guardia sulle nuove minacce, come le armi stampate in 3D e il crescente attivismo della lobby delle armi che invita i possessori a diventare più attivi politicamente per sostenere ulteriormente la loro industria.

Stato Islamico in azione?

Mentre l'Australia sotto shock si prepara a seppellire le vittime dell'attacco secondo la tradizione religiosa ebraica, Albanese ha dichiarato che il governo federale e i leader statali hanno concordato misure urgenti per contrastare la minaccia terroristica. Tra le decisioni prese dall'esecutivo, quella di autorizzare la creazione di un registro nazionale delle armi da fuoco e lo stanziamento di 100 milioni di dollari australiani (circa 65 milioni di euro) per gli stati e i territori. Altre misure includono limiti al numero di armi da fuoco che una singola persona può possedere e l'obbligo per gli acquirenti di armi di essere cittadini australiani. "I leader hanno convenuto che è necessaria un'azione forte, decisa e mirata sulla riforma della legge sulle armi come azione immediata" si legge in una dichiarazione del governo. Intanto il ministro degli interni Tony Burke ha dichiarato in una conferenza stampa che il giovane attentatore era nato in Australia, mentre suo padre era entrato nel paese per la prima volta nel 1998 con un visto per studenti, che era stato poi convertito in residenza e da allora rinnovato più volte. I due uomini, secondo fonti dell'intelligence australiana avrebbero giurato fedeltà al gruppo terroristico dello Stato Islamico, del quale sono state trovate due bandiere sulla loro auto. "Siamo al fianco degli ebrei australiani e ci opponiamo all'odio e alla violenza", ha scritto Albanese su X, affermando che l'antisemitismo è "una piaga e lo sradicheremo insieme".

Il commento

Di Francesco Marone, ISPI Associate Research Fellow

"L'attacco a Bondi Beach, compiuto da un'inconsueta coppia terroristica di padre e figlio, ci ricorda come la violenza jihadista, pur meno visibile rispetto al picco di dieci anni fa, non sia affatto scomparsa. Basti pensare che nel medesimo fine settimana un estremista in forza ai nuovi apparati di sicurezza siriani ha ucciso due soldati e un interprete statunitensi a Palmira, mentre le autorità tedesche hanno sventato un piano per colpire un mercatino di Natale, confermando la persistenza di una minaccia transnazionale diffusa e mutevole. Il terrorismo jihadista va letto nel quadro delle attuali tensioni geopolitiche: la guerra a Gaza, in particolare, nonostante la fragile tregua di ottobre, continua a servire da catalizzatore per la causa jihadista, anche in Occidente. Al contempo, gli attentati incidono direttamente sul discorso politico, come mostrano le dure dichiarazioni rilasciate da Netanyahu ieri e la netta presa di posizione del suo omologo australiano oggi".

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