10/28/2025 | Press release | Archived content
«Quando ho visto questa grande campagna di Amnesty International ho capito che tante persone erano con noi, in solidarietà. Ci ha dato forza, a me e a tutti i prigionieri, perché non eravamo soli. Amnesty ha mostrato al mondo che siamo difensori dei diritti umani che lottano per la pace, per la dignità, per la libertà»
Munther Amira
Munther Amira ha 53 anni e vive nel campo profughi di Aida, a Betlemme. È un rifugiato palestinese, originario del villaggio di Deir Aban, distrutto nel 1948. È un educatore, direttore del Aida Youth Center, un'organizzazione comunitaria che offre spazi e attività ai bambini e ai giovani del campo. Munther è anche un difensore dei diritti umani e un attivista che crede nella resistenza popolare non violenta.
Il 18 dicembre 2023, all'alba, i soldati israeliani irrompono nella sua casa. Lo separano dalla moglie Sanaa e dai figli, ammanettano i bambini, picchiano suo fratello. Munther viene portato via con la forza. L'accusa ufficiale è quella di aver pubblicato su Facebook dei post che incitano alla violenza. L'interrogatorio dura appena 45 minuti e risulta subito chiaro che non ci sono prove credibili. Nessun atto di violenza, nessun incitamento all'odio. Il 31 dicembre gli viene imposto comunque un ordine di detenzione amministrativa di quattro mesi, confermato da un giudice militare l'11 gennaio 2024.
Amnesty International denuncia immediatamente il caso e lancia un'azione urgente. Gli esperti analizzano i post attribuiti a Munther e non trovano alcun incitamento alla violenza. L'organizzazione denuncia che il suo arresto è arbitrario e invita le persone in tutto il mondo a scrivere alle autorità israeliane per chiederne la scarcerazione e garantire che riceva le cure mediche necessarie per i suoi problemi di salute cronici.
Munther soffre di ipertensione e problemi vascolari. Ha bisogno di assumere farmaci ogni giorno. Eppure, durante i primi dieci giorni di detenzione, gli viene negata l'assistenza medica. Solo dopo pressioni da parte del suo avvocato e dei medici di Physicians for Human Rights Israel ottiene parte delle cure necessarie. Amnesty International sottolinea che trattenere un uomo malato, senza garanzie legali, senza processo e senza accesso alle cure, non è solo arbitrario: è un atto crudele e degradante.
Da decine di paesi arrivano lettere, appelli, messaggi di sostegno. Migliaia di persone scelgono di agire, di non lasciare che Munther resti invisibile in carcere. Questa mobilitazione dà forza alla sua famiglia e diventa un segnale chiaro: non è solo, non è dimenticato.
Il 29 febbraio 2024, durante la notte, Munther viene finalmente liberato dal carcere militare di Ofer. L'ordine di detenzione amministrativa contro di lui viene cancellato. La notizia si diffonde rapidamente ed è un sollievo per chi, in tutto il mondo, aveva scritto, firmato appelli, alzato la voce per lui.
Dopo la sua liberazione Munther racconta: «Ho visto con i miei occhi gli orrori indicibili subiti dai miei compagni palestinesi in prigione. Eppure, nonostante tutto, lo spirito del nostro popolo resta intatto, la sua determinazione incrollabile». E aggiunge: «Quando il mio avvocato mi ha detto che Amnesty stava preparando una campagna per il mio caso, ho sentito una forza enorme. Non ero solo, non ero stato dimenticato. Il tentativo di Israele di farci sparire dietro le sbarre non ha avuto successo».
Il caso di Munther non è isolato. Dal 7 ottobre 2023 le autorità israeliane hanno aumentato in modo drastico l'uso della detenzione amministrativa, arrivando a incarcerare oltre 3.200 palestinesi senza processo, il numero più alto degli ultimi vent'anni. Ordini che possono essere rinnovati all'infinito, prove tenute segrete, nessuna possibilità reale di difendersi. Amnesty International denuncia che questo uso sistematico e discriminatorio della detenzione amministrativa è parte del sistema di apartheid contro la popolazione palestinese.