06/15/2025 | Press release | Distributed by Public on 06/15/2025 12:17
Mentre analisti e osservatori dibattono su tempistiche e ragioni dietro l'attacco di Israele all'Iran, una cosa sembra ormai certa. Quella deflagrata nelle ultime ore in Medio Oriente non è una crisi come le altre ma una vera e propria guerra capace di alterare gli equilibri nella regione per gli anni a venire. Le forze armate israeliane hanno dichiarato quello iraniano "fronte di guerra primario" il cui fine ultimo apertamente è un "regime change". Nel terzo giorno di un conflitto in palese escalation, diversi missili iraniani hanno eluso le difese aeree israeliane per colpire una raffineria e centrare un condominio di lusso a sud di Tel Aviv, mentre l'aviazione dello stato ebraico ha attaccato le centrali energetiche e il ministero della Difesa della Repubblica Islamica. Inoltre, per le strade di Teheran oggi sono esplose diverse autobombe. Il bilancio, provvisorio e parziale di tre giorni di scontri a distanza è di 10 vittime e 200 feriti in Israele, dove l'esercito raccomanda ai civili di restare vicini ai rifugi antiatomici, e oltre 200 vittime e 650 feriti in Iran. Tra le vittime iraniane, almeno 14 scienziati nucleari uccisi in attacchi mirati rivendicati dalle forze israeliane (Idf). E mentre i cieli del Medio Oriente sono attraversati da salve di missili e rombi della contraerea, da oltreoceano il presidente americano Donald Trump chiede un'immediata de-escalation ma non esclude un coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto. "E' possibile" ha detto all'emittente Abc News, sottolineando che al "al momento" gli Usa "non sono coinvolti" ma dicendosi "aperto" all'idea che il presidente russo Vladimir Putin possa fare da mediatore nel conflitto fra Israele e Iran. "È pronto - ha spiegato Trump - mi ha chiamato e ne abbiamo parlato a lungo".
Se le posizioni dei due principali attori in campo, Israele e Iran, sono chiare - Israele, come detto, punta ad archiviare la minaccia iraniana e Teheran, più debole che mai, a sopravvivere - meno facile è decifrare le intenzioni del presidente americano più erratico e imprevedibile di sempre. Dopo l'attacco israeliano, la Casa Bianca si è limitata a smentire ogni coinvolgimento e responsabilità dirette, attribuendo la crisi alla lentezza dell'Iran nei negoziati. Tuttavia, è certo che Washington fosse informata dell'attacco e, pur non approvandone forse tempi e modalità, abbia dato un assenso implicito e garantito il necessario sostegno difensivo. Non c'è dubbio che Israele vorrebbe che gli Stati Uniti si unissero alla campagna: solo le armi americane possono raggiungere alcuni impianti del progetto nucleare iraniano scavati nel cuore delle montagne, come quello di Fordow. Intanto, mentre i depositi di carburante fuori Teheran erano in fiamme, Donald Trump presiedeva la più grande parata militare degli Stati Uniti degli ultimi decenni . In seguito, ha affermato che l'arsenale esposto potrebbe essere schierato contro l'Iran se prendesse di mira risorse americane: "Se venissimo attaccati dall'Iran - ha scritto - tutta la forza e la potenza delle forze armate statunitensi si scaglierebbero contro di noi a livelli mai visti prima". Ma un impegno militare americano smentirebbe tutto quanto dichiarato da Trump finora sul non volersi avventurare in nuove guerre e così mentre ha interrotto i colloqui sul futuro del suo programma nucleare e accusato Washington di "complicità" nell'offensiva, Teheran ha finora evitato di attaccare basi statunitensi, ambasciate o altri obiettivi.
Per i paesi del Golfo, l'escalation in corso è un incubo che diventa realtà perché minaccia il mantra politico della stabilità regionale. Un alto funzionario della politica estera del Golfo ha definito "drammatica" la guerra tra Tel Aviv e Teheran sottolineando i timori di un Iran destabilizzato. L'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno denunciato l'attacco israeliano con massima fermezza e hanno espresso preoccupazioni per le conseguenze sulla stabilità regionale. "Mentre il regno condanna questi attacchi efferati, afferma che la comunità internazionale e il Consiglio di sicurezza hanno la grande responsabilità di porre immediatamente fine a questa aggressione" ha fatto sapere la monarchia saudita in una nota. "Queste azioni avranno conseguenze terribili. Siamo preoccupati per la direzione che prenderà" ha osservato Anwar Gargash, consigliere diplomatico degli Emirati Arabi Uniti, durante una conferenza sulla sicurezza nel fine settimana. "La stabilità dell'Iran è importante per la stabilità della regione ha aggiunto. Proprio per evitare un'escalation nel Golfo, l'Arabia Saudita e prima gli Emirati Arabi avevano ristabilito fra il 2022 e il 2023 le relazioni diplomatiche con l'Iran, continuando a parlarsi dopo il 7 ottobre e la guerra a Gaza. Oggi quegli sforzi vanno in frantumi sotto i colpi del conflitto in corso che lascia i paesi dell'area esposti ad eventuali ricadute sia dal punto di vista securitario che economico.
Il conflitto piomba sul tavolo del G7 che sta per aprirsi in Canada come un fulmine in un cielo già in tempesta. I leader dei paesi coinvolti puntavano al vertice con un'agenda già carica di dossier: dalle guerre a Kiev e Gaza a quella commerciale, scatenata dai dazi voluti da Trump. L'ultima volta che i leader del G7 si sono incontrati in Canada nel 2018, il tycoon se n'era andato prima, dopo essere stato criticato per i dazi imposti durante il suo primo mandato. Una foto iconica del vertice del 2018 mostra Trump circondato da altri leader, seduto con le braccia incrociate. L'allora cancelliera tedesca Angela Merkel, un'espressione esasperata sul volto, incombe su di lui, con le mani premute su un tavolo. Questa volta, le tensioni commerciali sono persino più gravi, eppure altri leader vorranno convincerlo a concentrarsi su altre questioni, come la minaccia militare rappresentata dalla Russia. "Loro vorranno parlare [dei dazi], ma Trump vorrà parlare di come contrastare la Cina" afferma Josh Lipsky, direttore del think tank Atlantic Council con sede a Washington. Con il passare delle ore però la cronaca dal Medio oriente si impone ed è chiaro che quello alle porte sarà un summit di guerra. Eppure tra i 7 non c'è accordo quasi su nulla. Al punto nessuno si aspetta un comunicato finale. E il rischio è che l'incontro, già azzoppato per le divergenze sull'Ucraina e i sui dazi, si trasformi nell'istantanea di un vertice dell'impotenza.
Di Ugo Tramballi, ISPI Senior Avisor
Indebolendo l'Iran, Israele ha favorito tutto questo. Bombardandolo di nuovo, mette in pericolo la stabilità della regione. "Questo è solo l'inizio", commentava ieri l'INSS, l'Istituto israeliano per la sicurezza: i suoi esperti sono generali in pensione, ex capi del Mossad e dello Shin Bet. Aspettando la risposta dei missili iraniani ai quali seguiranno altri missili israeliani, il pericolo è che Netanyahu si convinca di poter cambiare il regime a Teheran. Sarebbe una guerra senza fine. (Continua a leggere)