ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

10/08/2025 | Press release | Distributed by Public on 10/08/2025 09:11

Gen Z: cresce la protesta dei giovani nel mondo

  • Daily Focus Africa · America Latina · Asia · Medio Oriente e Nord Africa
    di Alessia De Luca
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Dal Marocco all'Indonesia e dal Perù al Madagascar. La rivolta della Gen Z, la generazione dei nati tra la fine degli anni Novanta e la prima decade del Duemila, dilaga nei paesi a basso reddito e diffonde rivendicazioni sociali e politiche. Senza leader né partiti, questi ragazzi tra i 15 e i 25 anni si muovono armati di smartphone e di una rabbia dai tratti ricorrenti, creando una geografia della mobilitazione che unisce i continenti. Sono nativi digitali, protestano contro la corruzione, le disparità e l'inettitudine delle classi politiche e rivendicano lavoro, diritti, dignità. Non ci sono vertici, strategie e luoghi di incontro si condividono online su TikTok, Instagram, Discord, Telegram. Stessi simboli, slogan e codici circolano da un paese all'altro, non a caso in latitudini dove l'età media è inferiore ai 30 anni. Dall'Argentina, dopo gli ennesimi femminicidi, le proteste si sono spostate in Nepal e nelle Filippine contro la corruzione della classe politica di governo. E poi ancora in India durante una serie di presidi per l'autonomia della regione del Ladakh, mentre in Perù esplodeva il malcontento contro il governo della presidente Dina Boluarte. In Serbia la Gen Z ha avuto un ruolo centrale nelle proteste del 2024-2025: sono stati gli studenti universitari e delle scuole superiori a dare vita ai blocchi, alle marce (anche chilometriche, chiedendo giustizia, trasparenza e rispetto dello stato di diritto. Un fenomeno che non poteva eludere l'Africa, continente giovane per eccellenza, dove le proteste che hanno scosso il Madagascar e il Marocco sono state sedate nel sangue generando solo altra rabbia.

Latitudini diverse, denominatori comuni?

Pur sbocciate a latitudini e in contesti differenti, esistono diversi tratti in comune tra queste rivolte spontanee che consentono di parlare di un fenomeno comune. I giovani che animano le proteste sono infatti la prima generazione di nativi digitali il che spiega perché le rivolte, nate sui social media, si diffondano da un Paese all'altro senza conoscere ostacoli. La piattaforma preferita è Discord, un sistema di messaggistica istantanea, inizialmente utilizzato dagli appassionati di videogiochi, ma che oggi conta oltre 600 milioni di utenti in tutto il mondo. Il secondo elemento comune, simile per certi versi a quello delle cosiddette 'Primavere arabe' che agitarono i paesi mediterranei a partire dal biennio 2010-2011, è l'assenza di leader riconosciuti o portavoce, frutto di una radicata sfiducia nei partiti politici e nei sindacati. Non da ultimo, i movimenti di protesta sono tutti portatori di richieste di lotta alla corruzione e maggiore giustizia sociale. In Marocco, ad esempio, i manifestanti rivendicano riforme in ambito sanitario, educativo e politico, lamentando le inefficienze e i sottofinanziamenti a settori essenziali, mentre il governo investe miliardi nelle infrastrutture e negli stadi e hotel di lusso che ospiteranno i Mondiali di calcio del 2030. Con i suoi 38,5 milioni di abitanti, il Paese conta circa 9 milioni di under 28 e ormai da anni sforna laureati con scarse prospettive occupazionali: la disoccupazione giovanile è al 36% e quasi un laureato su 5 è senza lavoro.

Una generazione intrappolata?

Nati tra il 1997 e il 2012, figli degli ultimi 'Boomer' e dei nati nella Generazione X, i giovani della Gen Z sono cresciuti all'ombra della crisi finanziaria del 2008. Raggiunta la maggiore età, hanno dovuto affrontare un mondo del lavoro frastagliato e in continua evoluzione, salari bassi e inflazione crescente, un aumento della polarizzazione politica e una crisi climatica a cui i governi non sembrano voler riconoscere assoluta priorità. Negli ultimi anni, le loro preoccupazioni sono state rese solo più urgenti dalla pandemia di Covid-19, che ha messo in luce le profonde disuguaglianze di una globalizzazione ormai in affanno. Non sorprende, inoltre, che tra i paesi in cui i movimenti di protesta hanno attecchito figurino alcuni di quelli che stanno subendo il peso maggiore di eventi meteorologici estremi, dove le generazioni più anziane sono al potere e spesso adottano misure inadeguate per impedire che il riscaldamento globale peggiori. Mentre le istituzioni tradizionali ai loro occhi perdono di credibilità e i partiti snobbano le loro reali preoccupazioni, la Generazione Z guarda ai coetanei di altri Paesi per far sentire la propria voce.

Dal divario generazionale alla rottura politica?

Così, mentre i loro coetanei europei e americani mostrano la loro frustrazione scegliendo politiche e partiti più estremi, la Generazione Z in Africa, Asia e America Latina si rivolta contro l'invecchiamento dei leader, la corruzione, la disoccupazione, le disparità di reddito e le economie che hanno lasciato indietro soprattutto i più fragili. Le opportunità che un tempo erano disponibili alle generazioni dei loro genitori sono quasi scomparse e l'onda d'urto che ne deriva rischia di trasformare il divario generazionale in divario politico, travolgendo modelli e sistemi sociali. "Ciò che rende unica l'attuale ondata di mobilitazione giovanile è la convergenza di condizioni provenienti da contesti politici molto diversi", afferma Bilal Bassiouni, della società di consulenza Pangea-Risk, secondo cui "i giovani si trovano ad affrontare l'aumento del costo della vita e una crescita debole mentre l'autorità è concentrata nelle mani delle élite più anziane, con scarso spazio per il rinnovamento". Come in Nepal, dove la rabbia della piazza ha preso di mira i 'Nepo kids', figli privilegiati dell'élite nepalese, che ostentano il loro stile di vita online. La crisi ha costretto il primo ministro e diversi alti funzionari a dimettersi, causando oltre 70 morti e centinaia di feriti. "Esiste un'interconnessione tra la Generazione Z, in particolare nei paesi del Sud del mondo, i cui anziani hanno guidato i movimenti per la decolonizzazione. Ma colpisce il disincanto, perché i manifestanti ritengono che le promesse di una nazione indipendente con istituzioni funzionanti non siano state mantenute", scrive Mehdi Alioua sociologo presso Sciences Po Rabat-UIR, che osserva come "questi giovani vorrebbero rispettare le regole della meritocrazia, ma si rendono conto che le carte che hanno in mano sono truccate contro di loro".

Il commento

Di Caterina Roggero, ISPI Senior Associate Research Fellow

"Guardando ai giovani marocchini che chiedono migliori condizioni in settori cruciali quali sanità ed educazione, non possono non tornare in mente le Primavere arabe. Quella stagione di rivolte non aveva portato miglioramenti sostanziali né una piena democrazia (anche) perché coloro che le avevano animate non avevano saputo poi strutturarsi in partiti e movimenti solidi, dotati di un'ideologia e di obiettivi ben definiti. Ciò che, pur nei cambiamenti naturali, è rimasto immutato è il quadro demografico del Maghreb: tantissimi giovani che sono per lo più insoddisfatti dalle decisioni di governi spesso chiusi in se stessi e lontani dai loro bisogni. Tutto sta quindi nel grado di organizzazione e strutturazione politica: elementi fondamentali per proporre concertazioni con le autorità e, semmai, reali alternative".

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