ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

11/14/2025 | Press release | Distributed by Public on 11/14/2025 05:19

IA: One Big Bet per il polo USA

  • Commentary Geoeconomia
    di Roberto Italia
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Semiconduttori, data center, materie prime critiche, Magnificent Seven e ChatGPT. Tutto ormai sembra ruotare attorno alla filiera dell'intelligenza artificiale (IA). Ciò è dovuto non solo all'esplosione di popolarità dell'IA generativa nelle nostre vite dalla fine del 2022, ma anche al riorientamento della mappa globale degli investimenti lungo faglie geopolitiche. A partire dagli Stati Uniti.

La globalizzazione che cambia

A questo riguardo, un recente studio di McKinsey ha evidenziato che tra il 2022 e il maggio 2025 il 76% del valore degli annunci di investimenti diretti esteri (IDE) greenfield nel mondo si è realizzato nei settori di frontiera (ICT e manifattura avanzata) e in quelli energetico e minerario.[1] In termini reali, si tratta di un aumento rispetto alla quota del 55% registrata nel periodo 2015-2019.

Data center e stabilimenti di semiconduttori, due anelli chiave della filiera dell'IA, stanno attraendo enormi somme di denaro, in particolare nella prima parte di quest'anno. Nel caso dei data center, se il ritmo dei primi cinque mesi del 2025 tenesse fino al termine dell'anno, gli annunci di IDE globali potrebbero ammontare a oltre 370 miliardi di dollari, il doppio rispetto alla media 2015-2019. Nel caso dei semiconduttori, gli annunci di IDE fino a maggio 2025 ammontavano già a quasi 120 miliardi.

L'economia che cambia

Nella corsa tecnologica sono tanti i corridori, dall'Asia orientale all'Europa passando per il Golfo, e in un modo o nell'altro tutti guardano agli Stati Uniti. Il Paese a stelle e strisce intende essere polo di attrazione e di esportazione di innovazione. Donald Trump ha raccolto l'eredità delle iniziative bideniane su investimenti (sia domestici che da partner strategici come Corea del Sud e Taiwan) e controlli all'export per la sicurezza nazionale, dandone però un tratto marcatamente affarista. Un esempio su tutti è la revisione del CHIPS Act in questi ultimi mesi.

L'inquilino della Casa Bianca sa che l'ecosistema dell'IA, in cui si muovono hardware, data center e software, può diventare il motore principale di una traiettoria di crescita in fase di rallentamento, nonché il pilastro del rinnovamento di una leadership mondiale a stelle e strisce in profonda crisi. Non è un caso, dunque, che nel caos dell'anno in chiusura la strategia trumpiana sia andata nella direzione di accelerare il passo tecnologico degli USA: un corposo AI Action Plan pubblicato lo scorso luglio, esenzioni tariffarie e intese commerciali. L'obiettivo? Alimentare il boom dell'IA in patria oggi e domani e proiettare il Paese verso l'esterno.

Le Magnificent Seven (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, NVIDIA e Tesla), tutte toccate da questo fenomeno, dominano da tempo i corsi azionari a Wall Street. E ogni settimana ormai viene annunciata una nuova partnership commerciale da OpenAI o da NVIDIA. Diverse stime hanno sottolineato il riflesso sull'economia reale americana. Senza gli investimenti legati all'IA la crescita reale del PIL nel primo semestre dell'anno sarebbe scesa attorno allo 0,5%. In misura semplicistica, nei primi due trimestri del 2025 la crescita reale del PIL è stata in media pari all'1,6% e a questo tasso gli investimenti delle aziende in apparecchiature informatiche e software hanno contribuito per quasi 1,1 punti percentuali al pari dei consumi delle famiglie (Figura 1).

Figura 1 - Variazione del PIL reale USA e contributi % per categoria, media mobile su due trimestri

Fonte: US Bureau of Economic Analysis

Visto lo slittamento della pubblicazione dei dati relativi al PIL nel periodo luglio-settembre a causa dello shutdown, le ultime trimestrali degli hyperscaler sono un ottimo supplemento. Il ciclo degli investimenti si mantiene solido: per esempio, Meta, Amazon e Alphabet hanno tutte alzato le loro previsioni di spese in conto capitale (capex) per quest'anno, rispettivamente a 70-72 miliardi di dollari, 125 miliardi e 91-93 miliardi, e si attendono cifre ancora più alte nel 2026. Se a questi numeri si aggiungono i 94 miliardi previsti da Microsoft nell'anno fiscale iniziato a luglio, si arriva attorno ai 380 miliardi di dollari di capex in 12 mesi.

Di fronte alla crescente domanda di servizi cloud e di potenza di calcolo per addestrare modelli di IA sempre più avanzati, l'infrastruttura cerca di tenere il passo (Figura 2): a luglio le spese per la costruzione di data center negli Stati Uniti hanno raggiunto i 41 miliardi di dollari annualizzati, rappresentando il 47% del totale speso per gli uffici privati, ma ancora l'1,9% del totale speso tra edilizia privata e pubblica;[2] a ottobre 2022, prima del lancio di ChatGPT, le quote erano rispettivamente al 15% e allo 0,7%.

Figura 2 - Spese edilizie private per specifiche categorie, dati mensili annualizzati normalizzati (gennaio 2014 = 1)

Fonte: elaborazione ISPI su dati US Census Bureau

Questi numeri non sarebbero possibili senza le grosse forniture dall'estero di capitali e beni. Tornando allo studio di McKinsey, da gennaio a maggio 2025 oltre l'80% degli annunci di IDE globali è stato diretto negli Stati Uniti in termini di valore, in aumento rispetto al 40% circa registrato tra il 2022 e il 2024: la parte del leone è stata ricoperta dalla taiwanese TSMC, che ha comunicato lo scorso marzo l'intenzione di espandere il suo progetto in Arizona mettendo sul piatto altri 100 miliardi di dollari. Nello stesso periodo il comparto dei data center negli USA ha attratto circa il 20% degli annunci di IDE globali, in aumento rispetto a meno del 10% registrato nei tre anni precedenti.

Passiamo all'import, con la premessa che non tutti questi flussi alimentano a valle i modelli di IA. Secondo gli ultimi dati del Dipartimento del Commercio statunitense, tra gennaio e luglio 2025 le importazioni americane funzionali agli oltre 5.000 data center operativi sul territorio[3] hanno raggiunto quasi 300 miliardi di dollari, in aumento del 45% rispetto allo stesso periodo del 2024 (Figura 3) e pari al 14% delle importazioni totali nei primi sette mesi di quest'anno. Stiamo parlando di macchine per elaborazione dati, componentistica ICT, microchip, trasformatori e sistemi di raffreddamento.

Figura 3 - Valore delle importazioni USA di merci per i data center, periodo gennaio-luglio per ogni anno, in $ miliardi

Nota: i codici HTS utilizzati sono 8419 (sistemi di raffreddamento), 8471 (macchine per l'elaborazione dei dati), 8473 (componentistica per l'elettronica), 8504 (trasformatori, convertitori, induttori elettrici), 8517 (apparecchi per le telecomunicazioni), 8542 (semiconduttori).
Fonte: elaborazione ISPI su dati USITC, US Census Bureau

Qui ha sicuramente giocato un ruolo l'effetto anticipatore dei dazi sui semiconduttori, i "cervelli" dei data center, visto che in primavera Trump ha fatto avviare un'indagine ai sensi della Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962. In attesa del verdetto, oggi le importazioni chiave nel campo dei semiconduttori e dell'elettronica avanzata, dalle macchine litografiche ai server, godono di estese esenzioni settoriali, a riprova dell'attenzione da parte dell'amministrazione MAGA. Senza contare le esenzioni sulle materie prime critiche, alcune delle quali vitali per il funzionamento dei data center. Certo, le iniziative di Trump non sono mai lineari e in questo senso resta difficile comprendere la logica dietro al dazio al 50% su acciaio, alluminio, derivati siderurgici e prodotti di rame, che vengono utilizzati nei data center.

Preservare gli equilibri economici

C'è poi il risvolto internazionale. Togliendo il rumore di fondo, le intese commerciali siglate da Trump negli scorsi mesi hanno cercato di stabilire un chiaro nesso con gli sviluppi domestici in campo tecnologico: attrarre capitali e stimolare la domanda estera di prodotti e applicazioni Made in the USA per mantenere una posizione globale dominante nell'IA. Il caso forse più eclatante di questo do ut des vede in prima linea i Paesi del Golfo a suon di roboanti accordi.

Il Giappone, storico investitore negli USA, "si è impegnato" a incanalare fondi in settori strategici a stelle e strisce, anche nell'ecosistema dell'IA. Sulla stessa linea si prospetta l'accordo definito con la Corea del Sud.

Nell'intesa di ottobre la Malaysia, attore primario nelle attività di assemblaggio, collaudo e confezionamento dei semiconduttori (ATP), ha stabilito con Washington importanti acquisti per il prossimo futuro: dal 2025 al 2029 le multinazionali del Paese asiatico dovranno fare incetta di macchinari e materiali per semiconduttori per 103 miliardi di dollari e apparecchiature per data center per 43,5 miliardi da aziende statunitensi.

Tra i tanti interrogativi lasciati senza risposta dall'incontro tra Trump e Xi a Busan ci sono la posizione di NVIDIA nel mercato cinese e la proprietà di TikTok negli Stati Uniti - in un delicato gioco di equilibrio dell'amministrazione MAGA tra opportunità commerciali ed esigenze di sicurezza nazionale.

Infine, nel caso dell'India, ci pensano le Big Tech a colmare il vuoto lasciato dalle tensioni tra i rispettivi governi: per esempio, il mese scorso Google ha annunciato il suo più grande investimento nel Paese, ovvero ben 15 miliardi di dollari da spendere tra il 2026 e il 2030 in un hub di IA nello Stato centro-orientale dell'Andhra Pradesh.

Spostandoci dalle nostre parti, l'UE "intende acquistare microchip di intelligenza artificiale per un valore di almeno 40 miliardi di dollari per i suoi centri di calcolo" dagli USA, recita il comunicato congiunto sull'accordo quadro tra Washington e Bruxelles senza specificare l'orizzonte temporale. Un piccolo inciso è d'obbligo: questo passaggio fa discutere perché va contro - e già i venti sono parecchio contrari - lo sviluppo di un'industria a valle nel Vecchio continente come auspicherebbe il Chips Act dell'UE.

Segnali dal futuro

La globalizzazione non è affatto morta e il fermento per l'IA nella maggiore economia del mondo (e nel mondo) ne è la dimostrazione. Ma attenzione: è evidente che non tutti gli impegni di investimento negli USA si realizzeranno e che le valutazioni del mercato azionario destano oneste preoccupazioni per l'incertezza su ricavi e margini derivanti da questa ondata tecnologica. Inoltre, è altrettanto evidente che il capitale non è tutto per raggiungere una frontiera che continua a spostarsi: energia elettrica, acqua e talenti sono altrettanto essenziali.

Rincorrere un futuro etereo con risorse fisiche al momento limitate non farà altro che sovraccaricare un sistema internazionale già teso. E l'attuale "connubio" tra libero scambio e sicurezza economica, che oggi non ostacola la sete di innovazione, potrebbe dare all'età della geoeconomia tutta un'altra scossa.

[1] Lo studio ha riguardato circa 200mila progetti di IDE annunciati dal 2015 a maggio 2025. Le cifre sono aggiustate per l'inflazione.

[2] Lo US Census Bureau fa rientrare i data center sotto la voce "uffici" nel monitoraggio delle spese edilizie private.

[3] Il numero di data center varia a seconda delle fonti. Questa discrepanza è dovuta a differenze di definizione e metodo di conteggio.

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