Comune di Roncadelle

10/28/2025 | News release | Distributed by Public on 10/28/2025 05:47

INDUSTRIA

La fabbrica, simbolo dell'attività industriale, è sempre stata un luogo di produzione e di lavoro, di grandi fatiche e di innovazioni tecniche, di inquinamenti ambientali e di sviluppo economico, di solidarietà e di conflitti. Ora che l'industria (sempre più automatizzata) sta cambiando volto, è importante ricordare sia quanto è stato fatto dall'imprenditoria locale nel secolo XX per produrre beni materiali e benessere, sia la lunga lotta dei lavoratori per l'affermazione dei propri diritti.

L'attività industriale di Roncadelle è stata svolta per secoli da artigiani (v.), che producevano diversi manufatti, non solo per la popolazione locale, adeguandosi man mano alle nuove necessità e richieste. Ma verso la fine dell'Ottocento iniziò una trasformazione, per molti aspetti rivoluzionaria, dell'economia bresciana, con lo sviluppo dell'industria manifatturiera; e a prendere quota furono soprattutto i settori siderurgico, metallurgico e meccanico, destinati a diventare portabandiera dell'orgoglio industriale bresciano. La rivoluzione industriale ha segnato l'esplosione del capitalismo industriale, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e finalizzato alla ricerca del profitto ricorrendo al lavoro subordinato per la produzione di beni e servizi. Molti imprenditori, per ottenere il massimo profitto, tendevano a mantenere basso il costo dei dipendenti e a scaricare sull'ambiente le emissioni inquinanti e i residui di lavorazione.

Nella provincia di Brescia gli addetti alle attività industriali, che erano 23.000 nel 1890, diventarono oltre 51.000 nel 1911. Ed anche la comunità locale, tradizionalmente impegnata nell'agricoltura (v.), ha subito il richiamo delle vicine fabbriche cittadine, tanto che verso la fine degli anni Venti si è trovata con una prevalenza di addetti al settore secondario. La popolazione di Roncadelle è raddoppiata dal 1881 al 1931 (da 1.173 a 2.344 abitanti) soprattutto a causa dei nuovi insediamenti dovuti alla dislocazione del paese alla periferia di Brescia, dove si erano create nuove occasioni di lavoro, in particolare nel settore industriale. E il collegamento tramviario con la città, inaugurato proprio nel 1881, ha certamente favorito l'immigrazione da altre località.

Gli operai dell'industria, prendendo coscienza della situazione di conflitto tra i propri interessi e quelli dei "padroni", si organizzarono ben presto per rivendicare diritti e per migliorare le condizioni di lavoro. A Roncadelle sorse nel 1889 una Società Operaia cattolica di Mutuo Soccorso, sostenuta dal parroco don Giulio Tadini e allargata anche ai contadini, per lenire situazioni di disagio economico-sociale dovute a malattie, infortuni, disoccupazione. Molti lavoratori locali partecipavano con convinzione agli scioperi, che venivano indetti saltuariamente, e alle manifestazioni del Primo Maggio, promosse dal Consolato operaio a partire dal 1890, caratterizzate da comizi, feste e scampagnate, in un clima di lotta e di speranza. Nelle fabbriche vennero costituite le Commissioni interne per risolvere le controversie tra operai e dirigenza. Le maggiori rivendicazioni riguardavano l'aumento dei salari e la riduzione dell'orario di lavoro; e non sempre si insisteva sulla tutela della salute e la sicurezza sul lavoro. Si affermarono due visioni ideali diverse: quella marxista, che puntava allo scontro di classe per modificare i rapporti di forza e l'organizzazione sociale; e quella cattolica, che mirava ad una collaborazione tra i ceti sociali nel riconoscimento dei reciproci diritti e doveri. Le diverse visioni si riverberarono anche nel sindacalismo: a Brescia si costituirono infatti la Camera del Lavoro (1892), inizialmente apartitica e poi orientata in senso socialista, e le Unioni Cattoliche del Lavoro (1911), sostenute da molti contadini, operai tessili e altre categorie.

Durante la "grande guerra", una parte dei chiamati alle armi fu assegnata alla produzione bellica nelle fabbriche che avevano riconvertito la produzione; ed alcuni di loro subirono infortuni o malattie anche gravi, come accadde a Pietro Valetti di Roncadelle (contadino, coniugato, con tre figli), che era addetto alle presse nello stabilimento Togni quando contrasse una malattia che lo portò alla morte; e fu poi inserito, a buon diritto, tra i caduti di guerra (v.).

Il dopoguerra fu segnato da agitazioni sociali e crescenti rivendicazioni dei lavoratori, che sfociarono nell'occupazione delle fabbriche (settembre 1920), cui parteciparono anche operai di Roncadelle. Non era solo il problema della riconversione industriale con i suoi alti costi sociali ad agitare i lavoratori, ma anche la ricerca di un riscatto e di un nuovo ordine sociale e politico, in buona parte ispirato all'ideologia comunista, che attribuiva al proletariato la funzione storica di rovesciare il predominio borghese. A Roncadelle una lista progressista formata da lavoratori vinse le elezioni amministrative dell'ottobre 1920, ma la nuova giunta "rossa" ebbe vita breve, sia per contrasti interni che per la decisa reazione dei possidenti e del nascente movimento fascista.

Dopo aver ottenuto il potere, il fascismo (v.) ebbe espressioni anche sindacali: nel 1923 introdusse le 8 ore lavorative giornaliere e 48 settimanali (risultato già raggiunto dai metalmeccanici nel 1919); nel marzo 1925 il ras bresciano Augusto Turati proclamò un clamoroso sciopero negli stabilimenti di Brescia per affermare la supremazia del sindacato fascista; ma il 2 ottobre 1925 vennero abolite le Commissioni interne in tutte le fabbriche italiane e furono poi istituite le corporazioni.

Una parte dei lavoratori aderirono al nuovo regime; alcuni si lasciarono addirittura assoldare dal movimento fascista come manovalanza per punire o intimidire gli oppositori; altri, la maggior parte, rimasero in attesa di tempi migliori, come accadde anche a Roncadelle, dove la presenza di "un fortissimo nucleo operaio" costituì un costante assillo per il P.N.F. locale.

Nella provincia bresciana le maestranze industriali continuarono ad aumentare: nel 1927 erano 86.245; e i metalmeccanici (18.600) erano occupati per due terzi in grandi aziende. La grande crisi del 1929-34 ebbe pesanti ripercussioni anche sull'industria bresciana, basata sulla produzione di beni strumentali e di esportazione; venne allora orientata su politiche autarchiche e di preparazione bellica. Roncadelle nel 1936 aveva 479 addetti nel settore secondario (47% della popolazione attiva), gran parte dei quali lavorava fuori paese, mentre in quello primario erano rimasti 370 addetti (36%). La prevalenza operaia locale è andata ancora aumentando, con percentuali superiori alla tendenza provinciale, mentre l'occupazione in agricoltura continuò a perdere terreno a causa dei progressivi miglioramenti in campo produttivo e organizzativo, favoriti anche dalla produzione industriale di macchine agricole e di fertilizzanti. Buona parte dei contadini stessi, trovandosi in condizione di precariato o di disoccupazione, guardavano ormai all'industria come àncora di salvezza, anche se molti di loro non amavano rinchiudersi in fabbrica per otto ore al giorno.

In quel periodo avviò la propria attività a Roncadelle la Casa Vinicola Enzo Barbi usufruendo inizialmente di uve locali e poi di produzioni dell'azienda agricola "Decugnano dei Barbi" ad Orvieto.

Durante la seconda guerra mondiale, diverse fabbriche vennero convertite alla produzione bellica, assumendo nuovo personale (anche femminile) e aumentando il proprio fatturato. Elvira Reboldi (1917-2018) raccontava: "Quando è arrivata la guerra, sono andata a Lumezzane a lavorare. Lì si facevano le armi; in particolare, dove lavoravo io, si facevano le bombe. Sono stata lì per tre anni, e dovevo stare a convitto dalle suore. Lavoravo la mattina, poi a mezzogiorno dalle suore trovavo la tavola già apparecchiata; riprendevo il lavoro verso le due e andavo avanti fino al tardo pomeriggio. Mi piaceva stare là, ero ben sistemata. Il lavoro era tranquillo e di attenzione: ero seduta davanti a una macchinina, in cui dovevo inserire dei pezzi di ferro, per farne uscire come degli spilli che servivano per le bombe. Siccome era un lavoro di precisione, noi che lo facevamo prendevamo un po' di più del salario normale. Stavo bene là; l'unica cosa che mi dispiaceva era stare via da casa mia tutta la settimana. L'otto settembre siamo scappati dalla fabbrica; i padroni ci hanno detto di andare a casa alla svelta perché stavano arrivando i tedeschi; ci hanno fatto proprio paura e noi siamo corsi via, a piedi. Arrivati al crocevia che porta a Gardone, abbiamo preso il tram per andare in città. Ma a Brescia c'era un movimento, una confusione totale, e noi non riuscivamo a prendere la corriera per tornare a casa. Sono tornata a piedi, con il cuore in gola. Così ho finito di lavorare a Lumezzane" (testimonianza raccolta da Enrica Rizzini).

Con i bombardamenti sulla città, i principali stabilimenti industriali subirono danni. Il 2 settembre 1943, caduto il fascismo, vennero ricostituite le Commissioni interne nelle fabbriche e, nella convulsa primavera del 1945, i lavoratori presidiarono armati gli impianti per evitarne la distruzione e il saccheggio. Alla fine della guerra la riconversione della produzione industriale e la ricostruzione avvennero tra grandi difficoltà, ma l'impegno collettivo riuscì ad ottenere risultati straordinari. Se nel 1946 gli addetti all'industria nella provincia bresciana erano circa 40.000, cinque anni dopo erano già risaliti a 104.000, di cui 35.275 nel settore metalmeccanico e ben 8.488 nell'edilizia. Il movimento sindacale, ricostituito unitariamente nella Confederazione Generale dei Lavoratori, non riuscì a tenere insieme le tre correnti principali che, condizionate dal nuovo schieramento dei partiti, diedero vita a organizzazioni separate: Cgil socialcomunista, Cisl cattolica e Uil repubblicana e socialdemocratica.

A Roncadelle nel 1951 gli addetti al settore secondario erano 580 (49% della popolazione attiva), prevalentemente nelle industrie manifatturiere ed estrattive (39%), mentre il 10% lavorava nelle costruzioni. Il dato è particolarmente indicativo, in quanto la maggior parte dei Comuni bresciani presentava una percentuale di addetti all'industria molto inferiore. Ma l'indice di industrializzazione del paese era ancora piuttosto basso: operavano infatti sul territorio locale solo 88 addetti all'industria e 39 alle costruzioni, in imprese di piccole dimensioni. Il fenomeno del pendolarismo verso il capoluogo aveva quindi proporzioni imponenti ed appariva normale vedere ogni mattina sciamare verso Brescia centinaia di biciclette. La stragrande maggioranza lavorava infatti in città, presso le principali aziende metalmeccaniche: Togni, Tempini, Breda, O.M., Sant'Eustacchio, ecc.; qualcuno lavorava alla Pasotti (falegnameria) o nelle aziende tessili della periferia urbana. A Roncadelle non esisteva ancora alcuna industria degna di questo nome, a parte una cava per estrazione di ghiaia con 56 dipendenti. Ma le esperienze accumulate dagli operai nella grande industria cittadina furono a volte messe a frutto da alcuni intraprendenti lavoratori, che impiantarono in paese piccole officine e laboratori. Gli artigiani locali andarono aumentando, sia per le nuove necessità locali che per la produzione di componenti destinati ai grandi complessi industriali.

Nel 1961 gli addetti al settore secondario erano saliti a 905 (63% della popolazione attiva), di cui 696 lavoravano nell'industria manifatturiera (123 erano donne) e 205 nelle costruzioni. Era aumentato anche il numero delle aziende industriali e delle imprese edili locali, nonché il numero medio di addetti per ciascuna di esse. Così, circa metà degli occupati locali potevano lavorare in paese, diminuendo il peso del pendolarismo giornaliero. Era iniziato il "boom" economico.

La vera industrializzazione a Roncadelle avvenne infatti negli anni '60 e '70, quando vi si insediarono la fonderia Montini (ghisa) con 150 operai, l'Elettroplastica (piccoli elettrodomestici) con 200 dipendenti, la Howard Rotavator (fresatrici agricole, spandiconcime), la U.O.P. di Giuseppe Calabrò (utensili speciali), la S.I.O. (industria dell'ossigeno e altri gas), la Serrande Moreschi (premiata con l'Apollo d'oro nel 1976), la Tosoni Fluidodinamica (pompe e compressori oleodinamici), A.M.A. di Mazzucchelli (arredamento negozi, bar, ristoranti), Raccorderie Bresciane (raccordi in ottone), la P.O.R. di Perani (nipples in alluminio), la Girelli Costruzioni, ilGruppo Gatti, ecc.

Ma furono soprattutto i nuovi stabilimenti Pietra e A.T.B. a creare molti posti di lavoro.

L'A.T.B. (acciaieria e tubificio di Brescia), storica azienda metalmeccanica fondata nel 1903 dal cav. Giulio Togni, aprì a Roncadelle uno stabilimento su un'area di 135.000 mq. nella zona nord-orientale costruendovi man mano 5 reparti (35.000 mq coperti) e assumendo oltre 200 dipendenti; nel 2003 si fuse con la Riva Calzoni e poi la società venne acquisita dal Gruppo Trombini.

Oddino Pietra (1912-1984), un imprenditore bresciano coraggioso e innovativo, dopo aver aperto in via Dalmazia un piccolo opificio per il taglio a caldo delle rotaie ferroviarie di recupero e avviato nel 1955 un imponente stabilimento in via Orzinuovi, diventato leader nella produzione di tubi estrusi (senza saldatura) di alta precisione e di profilati speciali di ogni dimensione, volle aprire uno stabilimento a Roncadelle su una superficie di 125.000 mq. per la produzione di tubi estrusi di grandi dimensioni in coordinamento con lo stabilimento di S. Zeno Naviglio, che però tardò due anni ad avviarsi per ostacoli frapposti dalla Regione e dal Comune; ciò comportò una crisi finanziaria dell'impresa, che costrinse Pietra a cedere le sue più rilevanti proprietà (due alberghi cittadini e terreni agricoli) e, infine, a far confluire i due stabilimenti nella nuova società S.E.T.A. (società europea tubifici e acciaierie) costituita nel 1980 con altri imprenditori (Francesco Lonati e Intesa Finanziaria di Stefana, Franchi, ecc.), che diede lavoro a circa 300 dipendenti.

Le lotte operaie, attuate nel 1969 con numerosi scioperi e manifestazioni, portarono a miglioramenti contrattuali e alla emanazione dello Statuto dei lavoratori (Legge 300 del 20 maggio 1970). Le vecchie Commissioni interne vennero sostituite dai Consigli di fabbrica, democraticamente eletti da "gruppi omogenei" di linea o di reparto, che venivano continuamente coinvolti dagli atti del proprio rappresentante. Vennero riconosciute le assemblee dei lavoratori e fu vietata l'attività antisindacale, adottata spesso (e sotto varie forme) dalle dirigenze industriali nei decenni precedenti.

Ma le conquiste dei lavoratori provocarono la reazione delle forze più conservatrici (compresi alcuni apparati statali) che adottarono la "strategia della tensione": dopo la strage di piazza Fontana a Milano (dicembre 1969), arrivò la strage di piazza Loggia a Brescia (maggio 1974), attuata proprio durante una manifestazione sindacale. I lavoratori seppero reagire in modo deciso e responsabile a sostegno della democrazia. E si decise persino di riunificare le forze sindacali dei metalmeccanici nella F.L.M., che durò fino al 1984, quando venne abolita la "scala mobile", ossia l'adeguamento automatico dei salari all'inflazione. Come delegati sindacali nei Consigli di Fabbrica vennero eletti anche alcuni roncadellesi, tra cui ricordiamo Vincenzo Mantovani (Fiom-Cgil) e Andrea Battaglia (Fim-Cisl) alla Pietra di via Orzinuovi, Gino Lamberti (Fim) alla OM Iveco, Nadia Clerici (Fiom) all'Idra, Giovanni Ragni (Fiom) alla Pietra di Roncadelle e alla S.E.T.A., Vittorio Cherubini e Vincenzo Gussoni alla Caffaro, Ivan Mantovani (Fiom) alla Fonderia di Torbole, Alberto Cavedo (Fiom) e Michele Gallitto (Fiom) all'Alfa Acciai, Ivan Duina (Fiom) all'Alfa Derivati e alla Fonderia di Torbole.

Né si possono dimenticare i numerosi infortuni sul lavoro, alcuni dei quali mortali, come quelli accaduti nel 1975: uno a Villa Nuova di Roncadelle per lo scoppio di una bombola di gas propano, che causò la morte di quattro lavoratori; l'altro in via Santuario a Castelmella, che causò la morte della roncadellese Maria Ragni di 26 anni, incinta di sette mesi.

Nel 1971 gli addetti al settore secondario a Roncadelle erano 1.120 (68% della popolazione attiva), di cui 974 nell'industria manifatturiera e 143 nelle costruzioni. Il settore dell'industria meccanica occupava il 90% degli addetti locali, tra cui una componente artigianale di 60 addetti su 135. Quasi due terzi degli occupati roncadellesi nel secondario prestavano la propria opera all'interno dei confini comunali; l'industria locale aveva infatti assorbito buona parte dei pendolari ed anche alcuni lavoratori della campagna, rimasta con soli 104 addetti (poco più del 6% della popolazione attiva). Nel 1981 gli addetti al settore secondario erano 1.381 (59% della popolazione attiva), di cui 302 donne. Il calo percentuale rispetto al commercio (v.), arrivato al 21%, e ai servizi, era l'indizio di un cambiamento in atto: il paese stava volgendo il proprio interesse verso il terziario.

I rami industriali più dinamici (metallurgico e meccanico), oltre a potenziare le proprie strutture, avevano saputo utilizzare nuove tecnologie, ma le crisi degli anni '70 e '80 misero in crisi parecchie aziende. La S.E.T.A., che si era concentrata sulla produzione di tubi per pozzi petroliferi, fu messa in difficoltà dalla crisi petrolifera nel 1982. Dopo i tentativi di rilancio effettuati con scarso successo da Ferdinando Palazzo (1983), da Giacomo Mosconi con la Banca S. Paolo (1984-85) e da Germano Bocciolone (1986-87), e dopo aver creato non poco inquinamento (v.) acustico e ambientale, nel 1990 il tubificio di Roncadelle fu ceduto alla Dalmine, sua diretta concorrente, che provvide ben presto a smantellarlo: le presse vennero date ad aziende operanti in Marocco, mentre il fabbricato nel 1994 fu venduto alla ALMAG (azienda lavorazioni metallurgiche ed affini Gnutti), specializzata nella produzione di barre e profilati in ottone e leghe non ferrose, che a Roncadelle ampliò la propria produzione assumendo 240 dipendenti e diventando un'azienda leader in Europa nel suo settore.

Oltre alla nascita di un consorzio artigiano a Roncadelle, che tra il 1983 e il 1986 realizzò 29 capannoni in via Villanuova, sorsero in paese negli anni '80 e '90 alcuni innovativi insediamenti industriali, come la Gimatic (automazione industriale e robotica) fondata nel 1985 da Giuseppe Bellandi con Giuseppe Maffeis e Giuseppe Frassine, che assunse oltre 70 dipendenti; la Aalberts Hfc (meccanica metalli) per oltre 50 occupati; la Bisicur (dispositivi antinfortunistici); la Invatec di Andrea Venturelli, che si è specializzata in strumenti biomedicali; la ICEL (quadri elettrici); la FORIT (installatori idraulici); l'Erogasmet per l'erogazione del gas metano, da cui derivò la Vivigas; la Fertech (pressofusione e automazione robotizzata), ecc.

Gli addetti al settore secondario, che nel 1991 erano 1566 (46,9% della popolazione attiva), nel 2001 si ridussero a 1369 (38,9%), contro i 955 del commercio (27,1%) e i 1.137 delle altre attività. La vocazione economica di Roncadelle, ormai orientata verso il terziario, guarda ancora con attenzione alle attività industriali che, pur segnate da periodiche crisi, hanno guidato lo sviluppo economico locale per alcuni decenni, esprimendo anche grandi capacità innovative e produttive, e che stanno entrando nel futuro con l'uso di nuove tecnologie (robotizzate, intelligenti e flessibili), con minori sprechi e con personale ridotto e altamente qualificato.

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