12/20/2025 | Press release | Archived content
C'è stata, come molti temevano, una fumata nera al termine dell'incontro nazionale dedicato alla vertenza Woolrich, quello in cui i sindacati confederali si sono confrontati con gli esponenti di Confindustria in rappresentanza della nuova proprietà, il torinese gruppo BasicNet.
L'esito, del tutto negativo, non ha scalfito la decisione aziendale di procedere con il piano industriale che prevede il trasferimento a Torino di tutti i centotrentanove dipendenti, un'operazione che di fatto determinerà la chiusura della storica sede bolognese e una significativa ridimensionamento della struttura di Milano.
La trattativa, dunque, si è arenata su quello che le organizzazioni dei lavoratori considerano un punto insormontabile, ossia lo sradicamento forzato del personale, molti dei quali con radici profonde nel territorio emiliano, verso il Piemonte.
Il piano di BasicNet per il rilancio del marchio
BasicNet, che ha acquisito il celebre marchio di abbigliamento outdoor all'inizio di dicembre e che nel suo portafoglio controlla già nomi come Kappa, Superga e K-Way, ha motivato la scelta come una mossa necessaria per assicurare il rilancio di quello che definiscono "il marchio più antico degli Stati Uniti".
Concentrando le attività nella sede torinese, secondo la visione del gruppo, si creerebbero sinergie e efficienze operative altrimenti impossibili da ottenere, garantendo così un futuro alla Woolrich in un mercato globale sempre più competitivo.
Una logica industriale che, però, stride platealmente con le esigenze di vita e lavoro di chi, da un giorno all'altro, si è visto prospettare un cambiamento radicale senza che fosse prevista, almeno secondo le prime dichiarazioni sindacali, un'alternativa negoziata.
La reazione dei sindacati e la richiesta di intervento politico
La delusione espressa dai segretari al termine del colloquio è stata palpabile e si è tramutata immediatamente in un appello diretto alle istituzioni. "Non S-Bolognateci", recita uno degli slogan che circolano, un gioco di parole che sintetizza la paura di vedere svanire un pezzo importante del tessuto produttivo locale.
I sindacati, dopo aver constatato l'assenza di margini di trattativa sull'ipotesi trasferimenti, hanno formalmente chiamato in causa il governo, chiedendo un suo intervento affinché si faccia garante di un confronto vero e si eviti una crisi sociale dalle conseguenze imprevedibili.
Lo stato d'agitazione proclamato in precedenza rappresenta soltanto il primo passo, con l'ipotesi di proclamare uno sciopero che diventa ora concreta, mentre si prepara una battaglia che promette di essere lunga e articolata, sia sul piano legale che su quello della mobilitazione.
Il precedente e lo scenario giudiziario possibile
Questi casi, purtroppo, non sono nuovi nella cronaca del lavoro italiano e spesso sfociano in intricate vicende giudiziarie, dove si dibattono i limiti della libertà d'impresa e i diritti fondamentali dei lavoratori.
Senza entrare nel merito di procedimenti specifici, è noto come vertenze simili abbiano talvolta visto l'apertura di inchieste per verificare il rispetto degli obblighi informativi e consultivi, mentre i tribunali sono chiamati a valutare il bilanciamento tra esigenze aziendali e impatto occupazionale.
La direzione intrapresa dai legali delle parti sarà cruciale nei prossimi mesi, in un percorso che, al di là delle dichiarazioni di principio, deciderà il destino professionale di centinaia di persone e il profilo industriale di un territorio.