05/02/2025 | Press release | Distributed by Public on 05/02/2025 04:57
Nel febbraio 2025 l'amministrazione Trump ha rilanciato una delle sue battaglie simboliche in materia di commercio internazionale e tecnologia: la difesa delle Big Tech statunitensi contro le Digital Services Taxes (DST) imposte da diversi governi stranieri. Con la firma di un memorandum presidenziale, il presidente rieletto Donald Trump ha incaricato l'Ufficio del rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (USTR), in collaborazione con il Dipartimento del Tesoro e quello del Commercio, di indagare sulle DST adottate da vari Paesi e valutarne la natura discriminatoria e anticoncorrenziale. La misura riporta al centro dell'arena geopolitica il tema della tassazione digitale, crocevia tra sovranità fiscale, regolazione tecnologica e conflitto geo-economico tra le principali potenze del globo.
Negli ultimi anni la tassazione dell'economia digitale è emersa come uno dei temi più controversi dell'arena fiscale internazionale. I principali nodi riguardano la dislocazione geografica del valore creato da imprese che operano principalmente online, la sfida della sovranità fiscale in un mondo globalizzato e l'equità del sistema tributario. In questo quadro le Digital Services Taxes (DST) sono state introdotte da diversi Paesi per tassare i ricavi generati da servizi digitali forniti da grandi multinazionali, molte delle quali statunitensi. Tali imposte sono state introdotte da alcuni Stati europei (Francia, Italia, Spagna, Regno Unito, Austria), oltre che da Canada e Turchia, come misura transitoria in attesa di una soluzione multilaterale in sede OCSE. Ad esempio, l'Italia ha implementato una DST del 3% sui ricavi delle aziende con un fatturato globale superiore a 750 milioni di euro e almeno 5,5 milioni di ricavi in Italia, generando circa 400 milioni all'anno.
Oltre all'aspetto fiscale, le DST si inseriscono in una più ampia strategia di riduzione della dipendenza tecnologica dai giganti statunitensi. L'Unione europea, con l'Agenda digitale 2030, il Chips Act e la Strategia per la sovranità dei dati, mira a rafforzare il proprio ecosistema tecnologico interno. In questo contesto la pressione fiscale sulle Big Tech è anche una leva di politica industriale volta a favorire la concorrenza domestica e l'innovazione locale. Gli Stati Uniti, storicamente sede delle principali multinazionali del digitale (Google, Amazon, Meta, Apple), hanno interpretato tali misure come un attacco diretto alla competitività delle proprie imprese. Già durante il suo primo mandato l'amministrazione Trump aveva avviato una serie di indagini ai sensi della Sezione 301 del Trade Act del 1974, minacciando dazi e ritorsioni. Il memorandum del 2025 rappresenta la ripresa e l'ampliamento di tale strategia.
Con il memorandum presidenziale sopracitato del 21 febbraio 2025, Trump si è attestato su un approccio esplicitamente difensivo, inscrivendosi nella tradizione dell'"America First", reinterpretata in chiave digitale e post-pandemica. La retorica è centrata sulla protezione delle imprese americane da "estorsioni fiscali" e da "regimi normativi stranieri ostili".
In questo senso il memorandum affida formalmente all'Ufficio dello USTR un ampio mandato operativo. Tra le priorità indicate figurano il riesame delle DST adottate dai diversi partner europei e l'apertura di nuove indagini sulle misure implementate dal Canada. Inoltre, il testo prevede la possibilità di attivare controversie formali nell'ambito dell'accordo USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement), qualora le iniziative fiscali di Ottawa siano ritenute discriminatorie nei confronti delle imprese statunitensi. Parallelamente, lo USTR è incaricato di valutare l'impatto di normative europee come il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA) sia sul quadro competitivo delle aziende statunitensi sia sui valori fondamentali promossi da Washington, inclusa la tutela della libertà di espressione. Infine, il memorandum contempla l'adozione di misure commerciali ritorsive, laddove considerate appropriate, comprendenti dazi mirati o restrizioni agli scambi.
A testimonianza della crescente assertività regolatoria europea, il 23 aprile scorso la Commissione europea ha comminato due sanzioni rilevanti ai sensi del Digital Markets Act. Apple è stata multata per 500 milioni di euro per aver ostacolato gli sviluppatori nel fornire agli utenti informazioni su opzioni di acquisto alternative all'App Store, in violazione dell'articolo 5(4) DMA relativo ai requisiti di steering. Meta, invece, ha ricevuto una sanzione da 200 milioni di euro per aver imposto agli utenti europei il cosiddetto modello "pay or consent" su Facebook e Instagram, ritenuto non conforme ai principi di libera scelta previsti dall'articolo 5(2) DMA. Questi provvedimenti, tra i primi casi di enforcement del DMA, confermano la volontà di Bruxelles di condizionare attivamente il comportamento delle Big Tech e accentuano, agli occhi di Washington, la percezione di un approccio regolatorio punitivo nei confronti delle imprese statunitensi.
Inoltre, l'offensiva di Trump sulle DST avviene in un momento critico per il negoziato multilaterale in sede OCSE/G20, volto a definire un'imposta minima globale sui profitti delle multinazionali e a stabilire regole comuni sulla tassazione digitale (Pillar One e Pillar Two). Sebbene nel 2021 fosse stato raggiunto un accordo di principio, la sua attuazione è rimasta parziale e frammentaria.
L'assenza di un accordo internazionale sulla tassazione dell'economia digitale ha portato a un aumento delle misure unilaterali, come le DST, creando un ambiente fiscale frammentato. Da anni l'OCSE ha cercato di sviluppare un quadro multilaterale attraverso il progetto per contrastare le pratiche di Base erosion and profit shifting(BEPS), ma i progressi sono stati lenti. Nel frattempo, si prevede una proliferazione delle DST, con potenziali costi significativi per le imprese statunitensi e un aumento delle tensioni commerciali globali.
La decisione di riaprire il fronte sulle DST va letta in chiave geo-economica come una mossa che segna un'accelerazione del decouplingnormativo tra USA e UE. L'intento americano di difendere la supremazia delle proprie piattaforme digitali si scontra con l'obiettivo europeo di rafforzare la propria sovranità digitale e fiscale. In questo senso il memorandum rappresenta un elemento di frizione sistemica tra due visioni opposte dell'economia globale.
Da un lato, gli Stati Uniti rivendicano il diritto delle proprie imprese di operare globalmente secondo un quadro normativo uniforme, interpretando le DST come un tentativo arbitrario di colpire aziende che operano trans-nazionalmente. Dall'altro, l'Europa insiste sulla necessità di riequilibrare la fiscalità digitale in modo da tassare le attività economiche laddove il valore viene effettivamente generato, ovvero nei mercati di consumo. Questo scontro riflette non solo divergenze economiche, ma anche differenze ideologiche su concetti come sovranità economica, governance dei dati e regolazione delle piattaforme.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe segnare un indebolimento definitivo del processo multilaterale. L'approccio unilaterale adottato nel 2025 lascia intendere che Washington non intende più aspettare soluzioni condivise, ma è pronta a usare la leva commerciale come strumento di pressione diretta. Il rischio è che, in assenza di un quadro globale, si inneschi una spirale di misure e contromisure che accentui la frammentazione del cyberspazio economico.
La reazione dei governi europei e canadese al memorandum è stata immediata. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che, in caso di fallimento dei negoziati commerciali con Washington, l'UE è pronta a introdurre misure ritorsive, tra cui una tassa sui ricavi pubblicitari digitali che colpirebbe colossi statunitensi come Google e Meta. Queste azioni potrebbero essere attuate attraverso lo Strumento anti-coercizione dell'UE, concepito per rispondere a pressioni economiche esterne. Parallelamente, la vicepresidente della Commissione, Henna Virkkunen, ha sottolineato che l'UE non intende modificare le proprie normative digitali, come il DSA e il DMA, per compiacere le richieste statunitensi, ribadendo l'impegno dell'UE per un ambiente digitale equo e sicuro.
Per quanto riguarda il Canada, il governo ha difeso la propria DST, entrata in vigore nel giugno 2024 con effetto retroattivo al 1° gennaio 2022, sostenendo che si tratta di una misura temporanea in attesa di un accordo internazionale. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno già avviato procedure di consultazione nell'ambito dello USMCA, ritenendo la tassa canadese discriminatoria nei confronti delle proprie imprese. Inoltre, già a gennaio Trump aveva minacciato di raddoppiare le aliquote fiscali per cittadini e aziende straniere operanti negli USA, in base alla Sezione 891 del codice fiscale statunitense, come forma di ritorsione.
L'escalation delle tensioni sulle DST rischia di avere effetti significativi per le imprese, in particolare per i grandi operatori statunitensi del settore tecnologico, ma anche per le aziende europee e canadesi con attività transfrontaliere, che potrebbero subire maggiori incertezze normative, aumenti di costi (dazi e compliance) e ostacoli all'accesso ai mercati. Ad esempio, alcuni studi passati hanno mostrato che gli annunci di proposte di DST in Europa hanno portato a una riduzione del valore di mercato delle aziende colpite, evidenziando l'impatto economico significativo di tali imposte.
Si accentua, inoltre, il trend verso la regionalizzazione delle regole digitali: ogni blocco geopolitico tende a definire propri standard fiscali, normativi e di governance tecnologica, con il rischio di creare barriere regolatorie e digitali (cosiddetti "splinternet"). Pertanto, le DST diventano un campo di battaglia simbolico della competizione sistemica tra modelli di governance, segnando una crisi del sistema multilaterale basato su regole condivise, a favore di una logica bilaterale o transazionale.
Il memorandum firmato da Trump nel febbraio 2025 riapre un conflitto che va ben oltre la dimensione fiscale: è il segnale di una frattura profonda nel sistema economico globale, tra sovranità digitale, concorrenza strategica e logiche protezionistiche. Le Digital Services Taxes, nate come strumento di riequilibrio tributario, si trasformano in leve di politica industriale e di confronto geopolitico. Per l'Europa e il Canada, la sfida è difendere la propria autonomia regolatoria senza alimentare un'escalation commerciale. Per gli Stati Uniti, si tratta di riaffermare la centralità delle proprie imprese in un mondo sempre più multipolare e competitivo.
In questo scenario si delineano tre possibili traiettorie future.
Alla luce di questi sviluppi, il 2025 potrebbe rappresentare un anno di svolta per la governance globale del digitale: o verso una ricomposizione multilaterale degli interessi - difficile ma necessaria - o verso una frammentazione irreversibile del cyberspazio economico.