06/13/2025 | Press release | Distributed by Public on 06/13/2025 10:20
L'offensiva 'Leone nascente' rischia di sprofondare il Medio Oriente nella guerra totale che, dal 7 ottobre 2023, incombe sulla regione. L'attacco, sferrato nella notte tra il 12 e il 13 giugno ha colpito gli impianti nucleari di Natanz e Tabriz ma anche zone residenziali di Teheran causando 79 vittime e 350 feriti. Le immagini della tv di Stato mostrano alte colonne di fumo che si alzano dal quartier generale delle Guardie Rivoluzionarie, e secondo l'agenzia di stampa iraniana diversi alti esponenti militari, tra cui il maggiore generale Hossein Salami, capo delle Guardie Rivoluzionarie d'élite, il capo di stato maggiore Mohammad Bagheri, sono rimasti uccisi nei raid. Anche Mohammad Mehdi Tehranchi, professore di fisica, e Fereydoon Abbasi, ex capo dell'organizzazione atomica iraniana, sono morti in attacchi mirati ha riportato l'agenzia di stampa statale. In una conferenza stampa da Tel Aviv, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu è apparso raggiante: "Abbiamo colpito al cuore il programma di armamento nucleare dell'Iran" ha dichiarato, aggiungendo che i cittadini israeliani potrebbero dover rimanere in aree protette "per lunghi periodi" perché ci vorranno "molti giorni" prima che l'offensiva si concluda. Immediata la risposta iraniana che nel giro di poche ore ha visto decimati i vertici della catena di comando militare del paese: Khamenei, la guida suprema dell'Iran, ha giurato che Israele sarà colpito da "una severa punizione", e che lo aspetta "un destino amaro e doloroso".
Il tempismo con cui Israele ha deciso di sferrare il suo attacco contro il principale nemico nella regione non è casuale. L''Iran si trova nella sua posizione militare più debole da decenni , a seguito di sanzioni economiche paralizzanti, precedenti attacchi israeliani alle sue difese aeree e la decimazione dei suoi più potenti alleati regionali. Decapitando nei mesi scorsi i vertici delle organizzazioni paramilitari in Libano e a Gaza, Israele ha di fatto disarmato la longa manus della Repubblica Islamica nella regione creando le condizioni adatte per lo stato ebraico di colpire l'Iran una volta per tutte senza timore di rappresaglie significative. Oltre alla debolezza militare in cui versa, il governo iraniano è costretto a fare i conti con un'economia soffocata da lunghi mesi di sanzioni che gli hanno alienato parte del consenso interno come hanno dimostrato le proteste, deflagrate a più riprese nel paese negli ultimi anni e che hanno coinvolto fasce della popolazione, soprattutto tra i giovani, che accusano le istituzioni di corruzione e inefficienza. Anche l'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha indubbiamente avuto il suo peso. Ogni altra amministrazione avrebbe probabilmente cercato di impedire o scoraggiare l'attacco, per timore di una guerra regionale. L'amministrazione attuale invece, pur dichiarando di non aver partecipato direttamente all'operazione militare, ha fatto intendere di aver lasciato correre.
Nella sua replica dopo gli attacchi della notte, la guida suprema Khamenei non ha menzionato gli Stati Uniti, ma il Ministero degli Esteri iraniano afferma che l'America - in quanto principale sostenitore di Israele - sarà ritenuta responsabile "dell'avventurismo di Israele". Se è infatti inverosimile che Israele abbia avviato una tale offensiva senza informare preventivamente Washington - della cui intelligence e copertura ha bisogno per tali operazioni -- è più che probabile che Trump sapesse quando e dove si sarebbero verificati i raid. A dimostrarlo sarebbe anche il fatto che nelle ultime 24 ore gli Usa avevano avvertito di "imminenti" attacchi all'Iran ed evacuato il proprio personale militare e diplomatico non indispensabile dalle basi in Iraq. Meno chiaro appare invece se Washington abbia dato il suo benestare all'operazione o se invece Israele non abbia forzato la mano dell'alleato, decidendo di attaccare con o senza il suo consenso. L'escalation, infatti, avviene alla vigilia del sesto round di negoziati previsto domenica tra l'amministrazione Trump e l'Iran relativi alla questione del nucleare. E anche se questa mattina il presidente Usa ha rilanciato via social il pressing su Teheran affinché si convinca a chiudere un accordo "prima che sia troppo tardi", nei giorni scorsi si era più volte espresso pubblicamente contro un attacco ai siti nucleari iraniani. Il tycoon ha avvertito che "i prossimi attacchi, già pianificati, saranno ancora più brutali". Giovedì, il comitato di controllo atomico delle Nazioni Unite aveva dichiarato che l'Iran avrebbe violato i suoi obblighi di non proliferazione: è la prima censura del genere in due decenni.
Che l'Iran "torni al tavolo delle trattative", come ha chiesto Trump appare speranza vana, dal momento che, dopo gli attacchi della notte scorsa, i responsabili iraniani hanno escluso di inviare i propri emissari all'appuntamento a Muscat per i colloqui mediati dall'Oman. E lo stesso emirato, solitamente molto cauto nelle dichiarazioni, stamattina ha condannato i raid definendoli una "escalation pericolosa e sconsiderata che viola i principi del diritto internazionale". Condanne nette nei confronti di Israele sono arrivate anche da Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e Turchia che hanno parlato di "una pericolosa escalation che minaccia di far esplodere la regione e riflette l'insistenza del governo estremista di Netanyahu nel trascinare la regione in uno scontro aperto".
Il problema, sempre più evidente agli occhi non solo di Teheran ma di tutti i paesi nella regione, è che l'interlocutore che siede alla Casa Bianca non solo è inaffidabile, ma che si tratti di Gaza, della Siria, del Libano o dell'Iran, non sembra davvero più in grado di controllare Israele. Su questo punto, cruciale, regna la confusione e mentre il Wall Street Journal riferisce che lunedì durante una conversazione Trump avrebbe esortato Netanyahu a non attaccare l'Iran, i media israeliani sostengono che l'offensiva era stata "pienamente coordinata con Washington". Quello che sta succedendo, è che l'attacco "era chiaramente mirato a sabotare i negoziati" sul nucleare, accusa il senatore democratico del Connecticut Chris Murphy, ed è "un'ulteriore prova di quanto poco rispetto le potenze mondiali, compresi i nostri alleati, abbiano per il presidente Trump". Resta il fatto che l'operazione 'Leone nascente' non lascia all'Iran se non l'opzione di rispondere. E da quali obiettivi Teheran deciderà di colpire dipenderanno gli esiti di un'escalation che mai come oggi appare imminente.
Il commento
Di Luigi Toninelli, ISPI
Ancora una volta, l'Iran mostra tutta la sua vulnerabilità di fronte agli attacchi israeliani. Stavolta però, più che la debolezza delle difese di Teheran, colpisce come Israele continui ad agire senza alcun freno. Attaccare l'Iran a ridosso di un delicato ciclo di colloqui con Washington sembra essere una mossa studiata per sabotare ogni possibilità di accordo sul programma nucleare. In questa fase sembrano aver vinto proprio Netanyahu, la lobby israeliana negli Stati Uniti e i neoconservatori americani che da tempo si opponevano a qualsiasi tentativo di accordo e difendevano l'idea di un attacco preventivo alla Repubblica islamica. L'iniziativa negoziale promossa da Steve Witkoff sembra per ora essersi rivelata fallimentare, ma non tutto è perduto. Oggi potrebbero essere proprio i paesi del Golfo - un tempo strenui oppositori del Jcpoa - a esercitare la pressione necessaria per riportare le parti al tavolo delle trattative. Mentre prosegue l'escalation tra Iran e Israele, e le posizioni iraniane e statunitensi sul futuro del programma nucleare iraniano restano divergenti, sembra questa un'impresa quasi impossibile da realizzare.